Direttore di un albergo di lusso e braccio destro del boss Kang, Sunwoo è elegante, solo e senza scrupoli. Verrà incaricato dal capo di sorvegliare i movimenti della sua giovane amante, Heesoo, con il mandato di ucciderla se dovesse scoprirla con qualcuno. Ma quando preferirà risparmiarla, Sunwoo scatenerà le ire di Kang il quale, tradito dall'uomo in cui riponeva maggior fiducia, deciderà di lasciarlo in balia dei suoi scagnozzi. Subirà le peggiori torture, Sunwoo, ma riuscirà a tener salva la vita. Per spenderla al servizio di una vendetta spietata.
Gangster movie e noir si fondono nell'ultimo lavoro di Kim Ji-woon, regista conosciuto per Two Sisters. Presentato fuori concorso allo scorso festival di Cannes, Bittersweet Life trova nello stesso assunto che ha fatto le fortune del recente cinema coreano (ci riferiamo alla straordinaria "trilogia sulla vendetta" di Park Chan-wook) il nesso portante della sua struttura. Ma se a sorprendere, in Park, era prima di ogni cosa la capacità di amalgamare decostruzione narrativa, poetica visiva e violenza, qui il tutto sembra limitarsi ad un più che soddisfacente esercizio di forma, lineare e senza grandi sussulti. Certo, "l'estetica dell'ultraviolenza" non ne risente, adagiata sulle superfici riflettenti di una Seul quanto mai affascinante, ma da qui al rapimento sensoriale c'è ancora tanta strada da affrontare. E non basta un finale soavemente onirico.