L'integrazione? Possibile, sotto le lenzuola. Sai che novità. Tesi già avanzata quarant'anni fa dall'impertinente Indovina chi viene a cena? di Stanley Kramer, in cui la figlia wasp di una coppia molto liberal s'invaghisce e sposa un aitante giovanotto di colore, causando lo scandalo di genitori all'occorrenza non proprio democratici. Un'altra epoca. Anni di disordini razziali, quartieri sfasciati, coscienze sfasciate, di neri che "fanno posto" ai bianchi (sugli autobus), di bianchi che fanno violenza ai neri (il Ku Klux Klan), di mine e pallottole vaganti e di predicatori sacrificati sull'altare dei tempi che cambiano. Il film di Kramer, pur se leggero, era una bomba ad orologeria pronta ad esplodere sui contrafforti del razzismo puritano. Per questo significativo, epocale. Mutatis mutandis, che giudizio dare di una commedia sul tema interrazziale girata nel nostro Paese e ambientata al giorno d'oggi? E' il caso di Bianco e Nero di Cristina Comencini, dove tra l'uomo bianco e la donna nera scocca l'amore che metterà in crisi, sociale e ideologica, le rispettive e "perbene" famiglie (la moglie di lui e il marito di lei condividono passione e lavoro in un'associazione pro-Africa!). Sarebbe bastato sfogliare i giornali per accorgersi di quanto inattuali fossero i presupposti della regista de La bestia nel cuore. Che senso può avere in tempi di classi miste, coppie miste, di meticciato de facto rispolverare questioni di pelle e pregiudizi antiquati? E che pertinenza può vantare il caso di due famiglie che, a parte il colore, sono poi identiche per principi, cultura e classe sociale (medio-alta borghesia)? Equiparazione scambiata per integrazione. Multirazziale con multiculturale (quando invece un intreccio italo-arabo sarebbe stato più fecondo di suggestioni). Inversione che si fa paradosso quando gioca con gli stereotipi razzisti, che al film non interessa tanto destrutturare quanto trattarli da pre-testi per far (sor)ridere il pubblico. Come se la Comencini non usasse la commedia per rovesciare i cliché, ma utilizzasse quest'ultimi per fare commedia. Un equivoco dal quale non riescono a cavarsi d'impiccio neppure gli attori, incapaci - nonostante la disinvoltura sulla scena di Fabio Volo e l'avvenente generosità di Aissa Maiga - di affrancarsi dal copione liberando ulteriori momenti d'umanità che non siano quelli segnatamente previsti dalla sceneggiatura.