Siccome siamo tutti esuli dal nostro passato – Dostoevskij ha scritto – ci si libera tornando. Così è per la protagonista di Beyond – vincitore alla SIC di Venezia – illusa di rifarsi una vita a partire da una damnatio memoriae che, se rimuove, non sa dimenticare. Basta la telefonata della madre in agonia per riportarla in viaggio, stavolta a ritroso, per un ritorno a casa che vale più di un commiato perché le permetterà di chiudere i conti col passato, riscattarlo e ritrovare se stessa.

Tempo, identità e famiglia: nulla di nuovo insomma, non fosse altro che Pernilla August guarda e si guarda indietro, un occhio alla Persona di Bergman (di cui è stata attrice) e l'altro al melò classico, senza però avere l'intensità (e i primi piani) dell'uno, né la furia (e le ecchimosi) dell'altro. La confezione è elegante, l'impianto schematico (scolastica la costruzione per flashback), la recitazione frenetica, la regia scontata. Il risultato è un film che, al netto di vere emozioni, procede a scossoni, azionando ogni volta la manopola della scena straziante, il pianto catartico, l'abbraccio avvolgente.Noomi Rapace resta Lisbeth pure se abbassa la cresta. Meglio la sorellina Ola, che interpreta la protagonista da piccola.