Deserto della California. A 250 km da Los Angeles vive una piccola comunità sparsa in camper, roulotte e furgoni, senz'acqua, senza luce, senza polizia né amministratori. Scossi dal mondo, è qui che molti, persi i legami col proprio passato, cadono, 40 metri sotto il livello del mare, tanto in basso che sembra più giù non si possa andare.
Il documentarista Gianfranco Rosi, italiano nato ad Asmara, dirige il suo secondo lungometraggio con occhio acuto, capace di svelare i fili invisibili che si tendono tra le parole, i gesti, i silenzi dei suoi protagonisti. I personaggi del film sono alcuni di quelli che, con un cataclisma esistenziale alle spalle, si son trovati nel deserto della California, "nel bel mezzo del nulla" come dice il cantastorie Mike, alcolista lucido finito a vivere in un camper dopo la morte della figlia diciottenne in un incidente stradale.
Dalla dottoressa caduta in rovina per riconquistare la tutela del figlio, al colto girovago zoppicante, dal vecchio bestemmiatore folle che entra ed esce dal carcere, al travestito con un passato nella marina, sei matrimoni alle spalle e due figli lasciati lontano, l'occhio di Rosi intreccia confessioni e routine di anime perse, uomini e donne finiti o rifugiati fuori dalla Storia. Rosi ha vissuto tanto a lungo accanto e insieme a queste persone da essere dimenticato, diventando parte dell'ambiente, come fosse una mosca o un turbine di vento. Davanti il suo obiettivo non solo i personaggi del film si muovono e vivono senza apparenti reticenze, ma finiscono addirittura per offrire all'occhio di Rosi scene di svelamento e intimità che forse semplicemente non sarebbero accadute senza la sua presenza lì con loro. Se insomma Rosi riesce con grande capacità a far parlare non tanto e non solo i suoi protagonisti, quanto piuttosto le loro stesse vite immerse nella rarefatta atmosfera del deserto, presto però diventa chiaro come ad attrarre l'attenzione del regista sia l'aspetto pittoresco, spettacolare, mitico della realtà che osserva. Il film così si limita a raccontare con efficacia l'affascinate spettacolo dell'autorappresentazione di queste persone che accettano d'esser mutati in ameni personaggi, evitando d'interpellarsi sull'abisso di dolore che giace sotto la dura, spessa superficie.