Opera prima del compositore e fotografo Giorgio Ferrero cui si affianca, come co-regista, il direttore della fotografia e produttore Federico Biasin, Beautiful things è un’opera quantomeno singolare che passa sotto ormai l’abusata etichetta di documentario, all’interno della quale sembra oggi comodo schiaffare oggetti filmici di non facile collocazione.

Articolato in quattro sezioni, connesse da interessanti scelte di montaggio, il doc ha l’ambizione di descrivere il ciclo di creazione, trasporto, collaudo e infine distruzione della mole di oggetti, spesso superflui, che assediano la vita quotidiana di ognuno.

Si parte con Van, un manutentore di pozzi petroliferi nel Texas, per proseguire con Danilo, imbarcato su una nave cargo transoceanica; il terzo personaggio è Andrea, uno scienziato che testa le proprietà acustiche degli oggetti all’interno di camere anecoiche. Vito, infine, è il responsabile di un’immensa fossa di rifiuti in cemento armato.

I quattro personaggi sono in realtà asceti contemporanei, isolati all’interno di un universo privato che, inserito dentro una catena più grande, garantisce il funzionamento dell’universo mondo della produzione, del consumismo abulico e di esistenze umane funestate dal rumore e dal sovrabbondante.

L’idea di base su cui si muovono i registi è interessante: narrare, tramite i guizzi dell’immagine e del sonoro (eccellente il lavoro al montaggio, calibratissimo nell’incastonare la successione dei dati audiovisuali), la necessità e la possibilità di astrazione dell’uomo contemporaneo, alla ricerca di un silenzio e di un’interiorità forse irrimediabilmente perduti.

Le belle cose del titolo sono dunque altre, rispetto a ciò che concretamente circonda la vita di ogni giorno, e nondimeno il canto della loro perdita si realizza tramite un’opera di non facile fruizione, eppure visivamente avvolgente al punto da far perdonare quell’eccesso di cerebralità che spesso giunge a turbare l’equilibrio raggiunto.