“Il male ha senso solo se lo costringi ad averlo”. Batman v Superman: Dawn of Justice, diretto da Zack Snyder, già alla regia di Man of Steel (L’uomo d’acciaio, 2013), mette faccia a faccia il paladino di Metropolis, Superman (Henry Cavill), e il campione di Gotham, Batman (Ben Affleck): ne rimarrà solo uno? In realtà, la vera sfida non è tra loro, bensì tra la DC Comics, casa madre dei due supervigilantes, e la rivale Marvel, residenza degli Avengers: già, le ammucchiate supereroiche vanno per la maggiore, in palio c’è la supremazia al box office.

Se Lo chiamavano Jeeg Robot è l’eccezione alla disaffezione nostrana al genere in calzamaglia, Oltreoceano i supereroi hanno conosciuto in epoca Millennial un grosso rilancio: il motivo? Scollare la gente dallo streaming casalingo e (ri)portarla al cinema, con la promessa di uno spettacolo senza eguali: gigantismo produttivo e magnificenza visiva, pulsioni umane e combattimenti  titanici, che cosa volete di più?

Forse, “la smania, il furore, il senso di impotenza che rende gli uomini buoni crudeli”: c’è il Male e il Bene in questa alba della giustizia, e c’è Dio o, almeno, un semidio in calzamaglia. Ritornando alla DC Comics di quasi 80 anni fa, Superman, il primo supereroe della storia nato da Jerry Siegel e Joe Shuster, e Batman, creato da Bob Kane con Bill Finger, triangolano con Diana Prince, ovvero Wonder Woman (Gal Gadot, sexy): la minaccia è aliena, e Lex Luthor (Jesse Eisenberg) è il tramite, ma il nemico è (anche) interiore, autoriflessivo, endemico.

Superman e Batman condividono, in primis, non la salvaguardia dell’umanità, ma i rovelli interiori, l’inadeguatezza, il riverbero di un’America che non si è ancora risollevata dall’11 settembre: le città bruciano, la teodicea interroga, il diverso spaventa, ma non è lì che Dawn of Justice (si) fa male. Se Lex Luthor frulla follemente psicosi e filantropia, delirio e vendetta, le pulsioni dei due supereroi dimezzati non sono adamantine, ma incarnate nel vivere (e morire) oggi: “I diavoli non vengono dall’inferno sotto di noi, vengono dal cielo”, e la memoria tumescente dell’11 settembre 2001 diviene la quarta dimensione dopo il 3D opaco e buio di Snyder.

Ma il film com’è? Programmatico, perché deve informare la Justice League una (2017) e bina (2019) che verrà, sintetico, tra la trilogia del Cavaliere Oscuro e Man of Steel, e parafrastico, perché all’epica sostituisce la tattica, al pathos il male di vivere. Sono supereroi borghesi, cui la regia di Snyder offre un compendio solido ma senza entusiasmi e la sceneggiatura, firmata da Chris Terrio e David S. Goyer, snodi e risoluzioni talvolta indegni di un blockbuster da 400 milioni di dollari.

Nel cast anche Laurence Fishburne (Perry White) e Jeremy Irons (Alfred), potevamo aspettarci di più? Sicuramente sì, ma non è poco quel che ritroviamo qui, soprattutto nell'ottica del DC Extended Universe in espansione: financo noiosi ma seri, centrifughi e dolenti, i tre "giustizieri", dunque la prossima Justice League, sono l'alternativa adulta e "filosofica" ai ridanciani, cialtroni Avengers. La v del titolo, dunque, sta per un "versus" timido (normalmente è "vs") o è V for Valium? Chissà.

Se le sorprese – per il cinema, non per i comics – non latitano,  l’unico spoiler che ci sentiamo in diritto di fare è una battuta di Lex: “La bugia più vecchia in America? Che il potere può essere innocente”. Forse per questo i nostri supereroi si scoprono, e si vogliono, così impotenti?