La Cecenia è uno stato della confederazione russa che vive solo grazie al petrolio che si estrae dalle sue terre. Per il resto, la situazione economica e politica è disastrosa: quasi l' 80% della popolazione non lavora e a nessuno importa delle persone che calpestano il suolo che sta sopra il prezioso oro nero. Tanto meno alla tirannica dittatura che sta al potere, che alla prima avvisaglia di pensiero rivoluzionario di chi vuole il paese indipendente, rapisce, tortura e spesso uccide.
Tutta questa realtà è stata raccolta e documentata in uno splendido affresco di poco meno di un'ora diretto dal lituano Mantas Kvedaravicius. "Barzakh” è una parola che sta ad indicare il limbo, un luogo che sta tra la vita e la morte, sospeso e avvolto da una nebbia di inquietante dubbio. È il dubbio che rode l'anima dei familiari e degli amici delle persone rapite, che non sanno i motivi della scomparsa dei loro cari e, cosa peggiore, non sanno se sono ancora vivi. Accanto alle moschee ci sono camere di tortura e più delle preghiere del Muezzin si ascoltano gli oracoli delle chiaroveggenti. Il documentario, girato nell'arco di tre anni, racconta la storia di alcune di queste persone: ci mostra com'è la loro vita, come passano le giornate, cosa scrivono nelle lettere spedite invano al governo per chiedere notizie dei figli e dei mariti scomparsi. Ci fa sentire le voci di chi è stato rapito ed è sopravvissuto alle torture.
Presentato nella sezione “Panorama” della 61° edizione della Berlinale, Barzakh si inserisce alla perfezione con il resto delle proposte, tutte miranti alla descrizione di realtà esistite e tutt'ora in corso in zone del mondo di cui ci si ricorda poco, in cui i diritti fondamentali dell'uomo sono un sogno (pur)troppo lontano.