Laureato in giurisprudenza all’Università di Milano, dopo aver conseguito un Bachelor of Fine Art all’EICAR di Parigi, Adriano Valerio è sceneggiatore e regista e riceve la Menzione Speciale Miglior Cortometraggio 2013 al Festival di Cannes, il David di Donatello come miglior cortometraggio 2014, e un Premio Speciale Nastro d’Argento 2014. Banat (Il viaggio) è il suo lungometraggio d’esordio e nasce, dice,  “dalla storia vera di un amico che decise di coltivare mele in Romania, cogliendo un’opportunità nata per caso (…). Ho passato diverse settimane in Romania per ricercare luoghi e volti che potessero prestarsi a questo racconto”.

Che comincia in realtà a Bari, dove per caso si incontrano  Ivo e Clara, lui in uscita, lei in entrata nell’appartamento di proprietà della signora Nitti. Ivo è agronomo e ha appena accettato un’offerta di lavoro in Romania; Clara ha concluso una difficile storia d’amore e lavora in un cantiere navale. Succede però che lei perde questo lavoro e decide di raggiungerlo in Romania. La stessa cosa ben presto succede anche a lui. Entrambi disoccupati, Ivo e Clara si danno da fare per aiutare il proprietario del terreno a riprendersi dal fallimento.  Forse ce la fanno, ma lei è incinta e vuole tornare a Bari. Sulla strada verso l’aeroporto, lui fa un deviazione.  Si  fermano su una spiaggia deserta sul Mar Nero. Il viaggio è stata un’illusione?  Valerio tiene a precisare che “la parola ‘straniamento’ è quella che meglio illustra le mie intenzioni  riguardo la messa in scena di molte situazioni”.

Ed è vero che,per come il copione ce li presenta, si tratta di due personaggi totalmente confusi che fanno della indecisione la loro arma più importante.

Specchio della nostra confusa modernità? Forse, ma dopo un inizio abbastanza compatto, lo sguardo del regista si fa incerto e dilatato. Il racconto perde uniformità, si affida a troppe riprese di spalle, troppi campi lunghi, cedendo ad una sottrazione di dialoghi e di azione che diventa complicata logica descrittiva. Valerio finisce con il cedere ad una ellissi narrativa che si fa scorciatoia per evitare la trappola di un finale enigmatico.

Un esordio con qualche inceppamento, anche nei due interpreti principali (Edoardo Gabriellini ed Elena Radonicich) forse da mitigare in seguito.