È vero, di fronte alla guerra in Ucraina ci siamo trovati impreparati, scoprendo i nostri limiti principalmente sul piano geopolitico, e allora in queste settimane il mondo dei media ci ha offerto analisi storiche per capire meglio le origini del conflitto, reportage dalle viscere polveriera, punti di vista dall’interno e non solo.

Se il mercato editoriale si è subito lanciato nel filone proponendo instant book e classici ritrovati (pensiamo al successo Stalingrado di Vasilij Grossman), il cinema ha recuperato alcuni film che probabilmente sarebbero rimasti nell’oblio senza questa tragica contingenza, dal dittico composto da Atlantis e Reflection di Valentyn Vasyanovych ai documentari di Sergei Loznitsa.

Fa parte di questo gruppo Bad Roads – Le strade del Donbass, presentato nel 2020 alla 35a Settimana della Critica alla Mostra di Venezia e selezionato dall’Ucraina agli Oscar 2022 come Miglior film internazionale, che segna l’esordio sul grande schermo di Natalya Vorozhbit, le cui riprese del secondo film sono state bloccate proprio a causa dello scoppio della guerra.

A partire da una pièce tuttora allestita in molte piazze d’Europa, è un’opera prima che, con tensione morale e afflato poetico, riesce a restituire sia il riflesso di un passato che non passa sia una drammatica aderenza con l’attualità e i suoi contraccolpi, portando i pezzi della macchina teatrale nell’orizzonte asfittico di una terra ferita che si fa palcoscenico e laboratorio.

Bad Roads – Le strade del Donbass si struttura in quattro episodi che costeggiano l’assurdo, non eludono l’orrore, scandagliano la ferocia umana, indagano l’odio civile. Un’esplorazione nella banalità del male all’interno di un tempo fermo, congelato in uno spazio che sembra appartenere all’incubo, e che si affida al potere della fiction nella misura in cui lo spirito documentaristico si presta quale veicolo di un viscerale ripensamento.

Ambientate nella regione dell’Ucraina orientale in guerra da ormai otto anni, il film funziona soprattutto come antologia narrativa su temi spesso inediti per gli sguardi occidentali, con un approccio anche scomodo nell’evocare un inquietante sarcasmo, una tragicità grottesca che ricorda i paesaggi desolanti dei racconti di Gogol, una visione cruda che mette in campo gli effetti della violenza su un eccezionale diventato quotidiano.

Le quattro storie di Vorozhbit si concentrano su un insegnante fermato a un posto di blocco, due adolescenti in attesa dei partner in una piazza decrepita, una giornalista tenuta prigioniera e violentata dal suo aguzzino, una donna che chiede perdono agli anziani vicini. A parte qualche spiraglio nel frammento finale, è un film che non dà speranza, sa di essere disturbante e, suo malgrado, si rivela ancora attualissimo.