Il problema dei cult è che poi fanno i sequel. Una maledizione che non ha risparmiato nemmeno il più cattivo Papa Noel della storia, il Babbo bastardo Willie/Billy Bob Thornton.

Lo avevamo lasciato sulla via della speranza e lo ritroviamo avvinazzato, abbrutito e invecchiato in un appartamento malmesso - all’occorrenza anche latrina - perché come annuncia senza enfasi il bastardo medesimo "gli happy end sono solo un mucchio di stronzate”. Fortuna che al suo fianco c’è Truman, il piccoletto che gli aveva già salvato la vita nel film precedente e che potrebbe fare il bis anche stavolta, forte di un candore disarmante e il sorriso ottuso con cui a suo modo prende a schiaffi la vita.

Ma Babbo bastardo 2 non prosegue sulla strada del buddy movie alterato, approfondendo (con tutte le virgolette del caso) il rapporto tra “l’adulto” e “il bambino”, ma sfrutta invece una nuova dinamica relazionale, che moltiplica a dismisura le deformità psico-affettive in gioco. Succede che Willie si fa trascinare dal vecchio compagno di merende, il nano Marcus (Tony Cox), a Chicago per realizzare un piano criminale a danno di una fondazione caritatevole, orchestrato nientepopodimeno che dalla sboccatissima madre di Willie (Kathy Bates). Una che giustifica la sociopatia del figlio con il fatto di essere nato prematuro: “Mi sono accorta di lui solo quando ci ho messo i piedi sopra”, racconta. Per dire il tipo.

Non aspettatevi grandi rivelazioni freudiane né troppe evoluzioni sul fronte madre-figlio. Quello che lo script di Johnny Rosenthal e Shauna Cross regala invece a cascata sono parolacce, dialoghi vietati ai minori, balordi riferimenti sessuali, battute scorrette e freddure degne di un film coi pupazzi di neve, a cui un cast di grandi professionisti (mettiamoci anche una burrosa Christina Hendricks) si presta senza ritegno.

Oscenità a parte però, il meccanismo narrativo s’inceppa troppo presto, avvitandosi su stesso. Senza contare che la regia di Mark Waters, lo stesso de La casa del sì (sic!), è talmente piatta da rendere tutto uniformemente cinico e grottesco, anche quando non dovrebbe (vedi la scena dell’esecuzione del Silent Night da parte di Truman). In ciò segnando un decisivo punto a sfavore rispetto al precedente, che era più umano e calibrato.

Per chi odia il Natale resta tuttavia l’unico cinepanettone digeribile.