Nell'Europa del Milleduecento era facile svegliarsi guerrieri. La famiglia spediva a conquistare terre, la Chiesa a difendere dottrine, i banditi a compiere malversazioni, tutti erano rivestiti di fervore e di corazze. Il sangue si versava facilmente; la vita aveva un valore diverso da quello che noi le attribuiamo. Ma la vita, agli occhi di Dio, era sacra allora come oggi. E se una guerra si doveva combattere, i santi capivano che necessaria era quella per insegnare l'amore di Dio, per tutelare gli ultimi, accogliere gli oppressi, perdonare i peccatori. Antonio, il Santo, combatte per Dio: con la parola, la lingua, il gesto, la volontà e la fede. Travolge, con il suo insaziabile desiderio di giustizia e Vangelo, lui, travolto, invece, dalla sofferenza, dalla debolezza. In un mondo sconquassato da eroismi e brutalità, da pietà nascoste e crudeltà manifeste, Antonio si prodiga, in poco meno di quarant'anni, a far conoscere Dio, la notizia più bella del mondo. Il film che Antonello Belluco, scrittore e regista, dedica al Santo, a Padova, ai fedeli, è pieno di questa fede, di gioia e di dolore, dei chiaroscuri dell'"età del ferro". Scopriamo che la storia del "guerriero" è raccontata da un ladro convertito e frate a sua volta, il quale all'inizio e alla fine prega sulla sua tomba, prefigurando una devozione plurisecolare. Molti personaggi s'incontrano e scontrano col Santo che proprio a Padova si scaglia contro la piaga dell'usura. Donne e uomini, bambini e sacerdoti, nessuno è indenne da quella parola che l'attore spagnolo Jordi Mollà assume e proietta con accento volutamente portoghese (terra d'origine d'Antonio) e balenare di occhi profondi. Il suo incontro con Francesco ad Assisi è viscerale e toccante; quello con Papa Gregorio IX, interpretato dal carismatico Arnoldo Foà, solenne e problematico. Alcune pittoresche intrusioni non lasciano il segno; non tanto quanto fa, invece, l'onnipresente musica di Pino Donaggio che "il guerriero" sarebbe certamente riuscito a moderare.