"Lascia ch'io pianga mia cruda sorte, e che sospiri la liberta'. Il duolo infranga queste ritorte de' miei martirii sol per pieta'". Adesione totale alla propria idea di cinema, piaccia o meno, attraverso una frequentazione solo superficiale del genere horror: e' l'Antichrist di Lars von Trier, tornato per l'ottava volta sulla Croisette - aveva esordito in concorso 25 anni fa con L'elemento del crimine e conquistato dei premi con i successivi Europa (1991), Le onde del destino (Grand Prix, 1996) e Dancer in the Dark, Palma d'Oro e Miglior Attrice (Björk) nel 2000.
Scritto dal regista con Anders Thomas Jensen, protagonisti Willem Dafoe e Charlotte Gainsbourg (che ha preso il posto di Eva Green), racconta la storia di una coppia che, mentre sta facendo l'amore, perde il suo unico figlio, che precipita da una finestra. L'uomo (Dafoe) è uno psichiatra, che decide, contro ogni logica e deontologia, di curare personalmente la moglie (Gainsbourg, straordinaria sofferenza) vittima di forti attacchi d'ansia: per farle elaborare il lutto, la porterà nel posto da lei piu' temuto, la Foresta di Eden, in un piccolo rifugio dove la donna ha scritto la sua tesi di laurea sulla persecuzione delle streghe nel Medioevo. Progressivamente, la terapia sfocia in una battaglia dei sessi: le paure della donna conquistano entrambi, lasciando selvaggio sfogo alla brutalità del male.
A 15 anni dalla serie horror The Kingdom, per alcuni il vertice della sua arte, Von Trier rilancia con un horror psicologico che diventa soprannaturale: nei suoi boschi si nasconde la Natura del Male, con un volto - e una colpa - femminile.
A tratti devastante, se non crudele, sessualmente esplicito, percorso da una fitta trama di simboli - non tutti decifrabili e talvolta risibili -, sorretto e sofferto dalle interpretazioni al limite della Gainsbourg e di Dafoe, Antichrist ci riconsegna il mondo interiore di von Trier, ovvero quello "oscuro della mia immaginazione: un viaggio all'interno delle mie paure, nella natura dell'Anticristo". Un mondo misogino, con la Gainsbourg che si pratica un'autoinfibulazione, che da' alle donne la responsabilita' del Male, con, forse, un passo a ritroso nel finale quando una teoria di senza volto femminili - le streghe mandate al rogo? - scala la collina dove sta Cristo-Dafoe, reduce dall'ultima tentazione consumata nel sangue. Manipolatorio, scorretto e sprezzante, il tutto nei confronti dello spettatore, dedicato - incomprensibilmente o irrisoriamente - a Tarkovsky, Antichrist radicalizza la lezione del cinema del regista danese, ma senza cambiare di una virgola la posizione di estimatori e detrattori.
Ma entrambi, crediamo, non potranno non apprezzare il prologo sontuoso, con il folgorante bianco e nero in slow-motion di Anthony Dod Mantle, sulla musica del Rinaldo, Lascia ch'io pianga di Handel: lo sviluppo non e' all'altezza, gioca con i generi (l'horror e il romantico) e lo spettatore in modo sporco, a tratti meschino, "si fa male" ma riesce anche a far male, cercando il miracolo dell'osceno. Prendere o lasciare. Ma nel panorama omogeneizzato e politically correct di tanto cinema  e' qualcosa. Qualcosa, se non altro, contro cui battersi.