Il cinema di Joe Wright predilige storie avvolte, velate, messe in maschera, imprigionate dai costumi di epoche rese polvere dal tempo. Storie che resistono, immortali, tra le pagine dei libri, nei dipinti, nelle stampe, nelle foto che hanno fissato la volatilità, composta e raffredata, degli attimi nei quali persone e personaggi cartesianamente pensano di esistere: spesso sono gli sguardi e il pensiero degli altri a farli esistere, a interpretare quello che non sono. Ignorando che cosa potrebbero essere.
In fondo quella meravigliosa creatura che è Anna Karenina, ostaggio delle regole di una società, delle convenzioni ipocrite, delle leggi degli uomini, del volgare senso comune è una bella addormentata dondolata dal vagone che fa spola tra San Pietroburgo e Mosca. Interpreta bene il suo ruolo così come interpretano bene, senza consapevolezza, la loro parte tutte le figure scolpite nel ghiaccio da Lev Tolstoj. Felici tutti nello stesso modo e infelici, in una disperata solitudine e desolata assenza di libertà. La potenza del romanzo avrebbe potuto spingere Wright ad una sontuosa e smorta illustrazione. Un bignami animato da attori e attrici eccellenti. Un campionario di velette, trine, tappeti, stoviglie, carrozze, palchi, ventagli.
Il regista deve aver pensato che se Scorsese con il meraviglioso e straziante L'età dell'innocenza era riuscito a rileggere il melodramma pensando a Visconti e a trovare una forma e uno stile abbaglianti, valeva la pena rischiare e non incagliarsi nelle secche dello sceneggiato. Anna Karenina non poteva che essere una irresistibile Keira Knightley, attrice acronica, passata attraverso l'orgoglio e il pregiudizio e l'espiazione, riletti dallo stesso Wright, e il dangerous method di Cronenberg, basculante tra un arcigno e cupo Jude Law (Karenin) e un solare Aaron Taylor-Johnson (Vronsky). Dilaniata dall'amore per i figli e dal desiderio per un altro uomo. Fragile, spezzata cifra di una femminilità non ancora irredimibile.
Se il mondo del romanzo è una rutilante messa in scena, una scrittura drammaturgica di potere e relazioni affettive, un palcoscenico teatrale, polimorfo, componibile, diventa la scenografia pulsante e dinamica della tragedia di Anna. Passione, condanna, punizione, sacrificio e sogni etici, sentimentali, politici di una vita diversa innervano il romanzo adattato con intelligenza da Tom Stoppard, che ha un'antica consuetudine con la letteratura e il teatro russo (da Il gabbiano fino alla recente trilogia The Coast of Utopia).
Joe Wright si concede momenti smaglianti di cinema teatrale, offre nuove bellissime immagini alla storia delle sequenze di ballo nel cinema e ricorda come Max Ophuls accarezzi i suoi personaggi, come li rinchiuda dentro un labirinto circolare.