Il cuore altrove. Su questa ricerca si costruisce l'opera seconda di Alessandro Angelini, Alza la testa, in concorso al Festival di Roma e dal 6 novembre in sala con 01 Distribution.
Dopo l'acclamato esordio de L'aria salata, il regista inquadra "caduta e resurrezione" di Mero (Sergio Castellitto), single father impegnato in un cantiere nautico di Ostia, con una sola ragione di vita: il figlio Lorenzo (Gabriele Campanelli), nato da una relazione con l'albanese Denisa, che Mero vorrebbe, fortissimamente vorrebbe, diventasse campione di boxe.
La sua educazione, comunque sentimentale, è però esclusiva: quando Lorenzo inizia a frequentare Ana, una giovane romena, Mero rivede gli ostacoli e gli errori che hanno stroncato la sua carriera da pugile, e da uomo: si mette in mezzo, tragicamente. Lorenzo fugge e cade in scooter: morte cerebrale. Come un automa, Mero dà il consenso all'espianto degli organi. Capire a chi sia finito il cuore del figlio diverrà l'unica, residua ragione di vita...
Con una durata ormai piacevolmente insolita (86'), Alza la testa conferma innanzitutto un regista-regista, Angelini, capace di muovere la camera con un'idea di cinema alle spalle: macchina a mano, costruzione del quadro, freschezza, una volontà di stile senza fronzoli né sciatterie. Pregevole anche la direzione degli attori: Gabriele Campanelli in soli 50 minuti si mette sulla scia di Said Sabrie di Good Morning Aman e Giulio Beranek di Marpiccolo tra i (semi)debuttanti di questa stagione da ricordare; Anita Kravos è coraggiosamente imbruttita ed efficace; Castellitto ribadisce la sua bravura ed esalta la briglia di Angelini, che riesce - quasi sempre - a contenerne l'estro gigioneggiante.
Poi, c'è la storia, che per come è girata nei primi tre quarti d'ora si tiene dietro gran parte del cinema italiano ultimo scorso: la relazione tra Mero e Lorenzo è sporca, rugginosa e irrimediabilmente affettiva come lo sfondo tra mare e ring risulta genuino, immediato, affascinante. Uno stato di felicità che non dura poco, ma neppure abbastanza: se Lorenzo finisce in coma irreversibile, neanche il film poi se la passa troppo bene.
Tra altri migranti, clandestini da salvare e trans-azioni di varia natura, Alza troppo la testa, si fa bulimico e accoglie nella sceneggiatura a sei mani di Angelini, Angelo Carbone e Francesca Marciano quello che un semplice calcolo delle probabilità renderebbe preferibile evitare, anche per mera verosimiglianza.
Aprendo generosamente il campo alle plurime marginalità della nostra società, che pure si riveleranno fertile humus per la rinascita di Mero, Alza la testa finisce per stiracchiare una coperta poetica troppo corta (non solo per l'apprezzabile minutaggio) in nome dell'apologo esaustivo, la summa sociologica, il "tutto insieme a fin di bene". Opzione sicuramente solidale, ma poco equa.