Esistono donne per le quali vale la pena vivere. Capita, però, che quelle stesse donne a volte rendano la vita un inferno e, sì, per loro si può perfino morire. Melinda è una di queste donne. E Vic, suo marito, lo sa. E lo sappiamo anche noi: una delle prime immagini di Acque profonde, infatti, è un primo piano di Melinda, uno studio della e sulla sua espressività che deflagra di fronte alla nostra incapacità di coglierne il mistero. La bellezza sconvolgente di Ana de Armas è sotto gli occhi di tutti; che quella stessa bellezza possa rivelarsi così perturbante, angosciante, impenetrabile, no. Il film sembra parlare proprio di questo: può una donna così bella non essere pericolosa?

È una catabasi, Acque profonde, come suggerito sin dal titolo, una discesa negli inferi di un matrimonio tossico. E ce lo dice la stessa Melinda, quando si mette al pianoforte e intona Via con me di Paolo Conte. L’italiano è forse inaccessibile ai nostri protagonisti ma è una dichiarazione d’intenti: già da come si relaziona con lo strumento, capiamo quanto Melinda sia una dominatrice, una domatrice, un soggetto che esercita il desiderio e non soltanto un oggetto del desiderio. Basta osservare come mangia la mela per poi passarla al marito o come piange con la bocca piena di dentifricio per capire quanto sia consapevole di esercitare un potere e di operare sull’immaginario erotico altrui.

Una femme fatale, come d’altronde è pieno il cinema di Adrian Lyne, che a vent’anni da Unfaithful – L’amore infedele torna alla regia di questo thriller pensato per la sala e finito direttamente in streaming (da noi su Amazon Prime Video). E un po’ ci è mancato, il cinema turbolento, modaiolo, disperato dell’ex pubblicitario Lyne, che finalmente rimette in campo quella componente erotica che il thriller americano – o quel che resta del noir e del neo-noir – sembra schivare con ipocrisia e sospetto.

Perché grandi successi come 9 settimane e mezzo, Attrazione fatale o Proposta indecente, al di là del loro valore, avevano l’ardire – certo non scevro di furbizie e ammiccamenti – di leggere il melodramma attraverso il conflitto tra ordine e desiderio, la subordinazione della ragione all’istinto, l’impossibilità di tornare indietro una volta toccato il baratro della passione più sconveniente.

Le acque profonde, appunto, nelle quali sono immersi i due protagonisti, coniugi influenti e invidiati che articolano un ménage soffocato da risentimenti e gelosie con la logica perversa di un gioco al massacro fatto di meschinità psicologiche e furori sessuali. È Melinda a gestire la partita, in equilibrio tra la cura della famiglia (hanno una figlia piccola) e la libertà che la porta ad avere rapporti con chi vuole. Equilibrio che sta logorando Vic, sempre più paranoico e ossessionato: qualcosa cambia quando, uno alla volta, i vari amanti di Melinda fanno una brutta fine.

Come ogni film di Lyne, anche qui abbiamo a che fare con una storia di dipendenza. In questo senso la scelta di Ben Affleck appare particolarmente indovinata e non solo per gli effetti del vero love affair intrecciato con de Armas fuori dal set (ormai concluso). Ma anche perché questo attore ormai nel pieno della maturità ha saputo capitalizzare la monoespressività di cui da giovane veniva accusato, trasformandola in disorientamento, decadenza, paura delle proprie azioni. Forse c’entra anche il passaggio attraverso Gone Girl, ma è davvero credibile il suo essere completamente subordinato alla donna e la sua capacità di dialogarsi solo attraverso il lessico sessuale.

Tratto da un romanzo di Patricia Highsmith (maestra nello scandagliare le pulsioni più inconfessabili del sistema borghese), Acque profonde è circolare nella struttura e spigoloso negli esisti, un thriller sontuoso e sofferto che non fa niente per attenuare la sua dimensione necrofila e pessimista né per addomesticare la forza brada dei corpi in battaglia. Già solo per un approccio del genere, in un complesso produttivo spesso timidissimo e pudico, questo film malato andrebbe visto con attenzione. E anche perché è abitato da una femme fatale degna dei grandi noir.