“Quando la leggenda supera la realtà, stampa la leggenda. (Print the legend)”. È un’antica legge del West, targata John Ford, dal film L’uomo che uccise Liberty Valance. Ma vale anche per la realtà di oggi? Forse sì. E in alcuni casi non ce n'è bisogno. “Leggenda” è ormai Marie Colvin: reporter di guerra, eroina contemporanea alla costante ricerca della verità. Ha smascherato le bugie di Assad in Siria, ha perso un occhio in Sri Lanka, ha intervistato Gheddafi, Arafat. E molto altro ancora. Iraq, Afghanistan, le bombe, i massacri, le fosse comuni.

Colvin raccontava il conflitto “segreto”, quello della gente comune. Dava voce ai civili, agli innocenti che morivano a migliaia sotto le macerie. I fantasmi, i dimenticati dalla storia. Non le interessavano le false promesse dei politici, le bugie trasmesse in mondovisione dai notiziari. Da noi forse si sarebbe chiamata Oriana Fallaci. Grandi donne, difficili da non idealizzare. Ancor più complesso è non cadere nella propaganda antimilitarista, nella retorica spicciola. Ma A Private War non sbaglia, si concentra sul lato umano, sulla “guerra privata” di Colvin.

 

Sola contro tutti, soldato sempre pronto a partire per il campo di battaglia. Le sue armi: un taccuino e un computer. Ma il più grande nemico è la sua vocazione, che la tiene sospesa tra eroismo e follia. Mai in redazione, sempre in prima linea. E la notte gli incubi, le immagini degli orrori. Ad essere messa a rischio è la sua umanità, il pericolo è di diventare una macchina, per non essere travolta dalla disperazione degli altri.

Nel film, ha il volto di Rosamund Pike, invecchiata per l’occasione. Le rughe sono accentuate, i capelli mai pettinati. Da femme fatale in Gone Girl – L’amore bugiardo, a giornalista d’assalto. Lei, reginetta di bellezza ai tempi di James Bond (La morte può attendere) ultimamente sceglie personaggi che la costringono a imbruttirsi, come la madre rimasta sola di Hostiles.

Qui trasmette la stessa sensazione di solitudine, con la benda su un occhio e la penna nella mano destra. Il suo corpo muta, mantiene un fisico snello, ma sul viso si vedono i segni di una vita di eccessi. Per far rinascere Marie Colvin deve nascondere la vera Rosamund Pike. E lei ci riesce, con dedizione, fatica, e grande forza d’animo.

A Private War evita la trappola del classico biopic, si concentra solo sugli ultimi anni di Colvin, prima che fosse uccisa a Homs, in Siria. È un lungo flashback, dal successo alla fine, improvvisa, anche se prevedibile. Un’altra grande impresa, un sacrificio necessario per garantire la libertà. I giornali in qualche modo continuano a sopravvivere anche per questo: per inseguire la sincerità nell’ombra, per non smettere di scovare gole profonde dalla parte degli ultimi. Non solo una “guerra privata”, ma una lotta che riguarda tutti.