Sfortunato quel Paese che ha bisogno di eroi, fortunato quel Paese che ha facoltà di epica. Succede con 800 eroi, kolossal bellico diretto da Guan Hu, nome noto ai frequentatori del Far East Film Festival, che tiene a battesimo il film, e della Mostra di Venezia, dove ha portato Cow nel 2009 a Orizzonti e ha chiuso nel 2015 con Mr. Six. Primo lungometraggio realizzato interamente in Imax in Cina, vicecampione d’incassi globale nel 2020 (472 milioni di dollari a fronte degli 80 di budget, non male…), il war epic torna a Shanghai nel 1937, laddove un manipolo di militari cinesi – gli eponimi ottocento – difende strenuamente un deposito d’armi sul lato settentrionale del fiume Suzhou dall’avanzata giapponese, al cospetto delle concessioni straniere dislocate sulla riva opposta. Che cosa vi viene in mente?

Già, 300 di Zack Snyder, ovvero i 300 spartani guidati da Leonida che si immolarono per contenere l’avanzata dei persiani di Serse. Siamo da quelle parti lì, nelle disponibilità di David contro Golia, dei pochi e valorosi contro i tanti e attrezzati. Ma con una differenza sostanziale, e se non (post)comunista tout court comunque ideologica: anche sceneggiatore con Rui Ge, Guan Hu modella il progetto sugli ottocento eroi a lungo accarezzato quale elogio della collettività, dell’unione fa la forza, con evidenti ripercussioni sulla caratterizzazione psicologica dell’ensemble, dove voci soliste non ce se sono, dove uno vale uno per davvero, dove il primus inter pares, che lo si individui nel contadino Duanwu (Ou Hao), nel veterano Lao Tie (Jiang Wu) piuttosto che nel colonnello Xie (Du Chun), ha minimo aggetto, e sì, scordiamoci gli acuti di Leonida.

Ma com’è il film? Ignorante, si direbbe a Roma e dintorni, nell’accezione di rozzo, violento, ovvero alla toscana greve, peso e pesante: i palati fini si astengano, l’opzione massimalista è portata fino in fondo, la carneficina totale, il dispendio di uomini (i morituri diegetici) come di mezzi (cinematografici) impietoso e parossistico. Approdo interessante e inquietante, la selezione della specie eroica, ossia politica, cinese consta nella dissipazione della specie umana, ovvero nel sacrificio: mitologia o onoranze funebri, chi può dirlo?

Eppure, il fascino è sensibile, anche per noi occidentali che, diciamolo, qualche difficoltà a distinguere i personaggi per giunta equiparati dalla divisa lo abbiamo, l’epos ficcante, soprattutto nel martirio: i militi che imbracciando nugoli di bombe a mano si gettano dall’ultimo piano sugli assedianti giapponesi disposti a testuggine sono tanto extrema ratio quanto spettacolo (im)morale assicurato. Tonitruante, smargiasso, perfino indolente ed estatico – ovvero politicamente pregno qui e ora… - negli occhi degli occidentali che si godono lo show dal dirigibile e dalla riva opposta,

800 eroi (ri)traccia la via cinese al nazionalismo cinematografico, senza lacuna vergogna: “Verrà il giorno in cui pianteremo la nostra bandiera sul Monte Fuji”, e confidiamo nel futuro a posteriori. Del resto, poco importa, se non possiamo avere la stessa vita, che si abbia la stessa morte: a maggior gloria della Cina. Ieri, oggi e domani. E noi occidentali, staremo sempre a guardare o, al più, simpatizzare? Largo agli eroi, il paradiso – come le responsabilità – può attendere.