Simbolicamente, non c’è luogo più adatto dell’acqua per rinascere e al tempo stesso non c’è un genere cinematografico più adatto per raccontare la rinascita che il film sportivo. Gilles Lellouche sceglie un’improbabile squadra di nuoto sincronizzato maschile per raccontare le rinascite dei suoi personaggi.

7 uomini a mollo racconta di questo gruppo di depressi a vario titolo che cercano di ritrovare il filo delle proprie volte, o una semplice valvola di sfogo, nelle coreografie acquatiche dirette da un’ex campionessa a sua volta con più di un problema. Lellouche, che scrive il film con Ahmed Hamidi e Julien Lambroschini, cerca di virare in commedia i film “ispirazionali”, i cosiddetti feel good movies giocando con le possibilità della commedia corale.

Le descrizioni e le caratterizzazioni dei vari personaggi danno la possibilità al regista (anche attore, una delle più belle facce di bronzo del cinema francese) di variare di continuo i toni del film, passando dal familiare al farsesco, dall’intimismo al grottesco, alternando le gag più buffonesche ai momenti di complicità maschile, in cui confrontarsi con i limiti della mascolinità alle soglie dei 50 anni e col rapporto con il femminile, con “la ragazza che è in noi” (bellissimo il dialogo tra il padre rocker e la figlia in mensa).

E sono questi ultimi momenti le cose migliori di 7 uomini a mollo, quando la scrittura di Lellouche e il gioco di protagonisti come Amalric, Canet, Poelvoorde, Anglade, Efira, Bekhti e non solo (in pratica la nazionale francese della recitazione) riesce a supplire alle farraginosità della struttura e all’humour non sempre travolgente, sottolineando l’elegante lavoro formale del regista, ricercato nelle luci, nelle inquadrature, in certi movimenti di macchina, nel montaggio: peccato solo che il finale ricomponga tutte le fratture e perdoni i suoi personaggi in modo troppo conciliatorio. È comunque un film che manda a casa soddisfatto lo spettatore, nonostante - o grazie a - i suoi limiti.