Tra l'idolatria per iPhone, iPad e iPod e la batosta della crisi economica, non è la prima cosa all'attenzione della gente che la vera rivoluzione del nuovo secolo è la rivoluzione biochimica. La crisi economica, ramo pensioni, deriva anche dalle aspettative di vita, aperte agli 80 e 90 anni. Esplode la prevenzione. Si controlla l'Aids. In ospedale si entra in genere per uscirne dopo una cura adeguata. Provate a pensarci guardando la faccia di Adam, 27 anni, vita normale e normali perplessità d'orientamento, quando il medico gli diagnostica un cancro e pochi mesi di vita. Ci sono due strade che partono da questa casella, e non è detto che l'una debba portare a Sussurri e grida e l'altra a Love Story. Nel caso di Philadelphia, le due si fondono. Nel caso di Il mio angolo di paradiso ci siamo trovati di fronte a un uccellaccio fetido, un film offensivo, per i malati, per chi muore, per chi resta, e per gli spettatori di romantic comedy.
Nel difficile surplace tra dramma e commedia, quando la morte vien col sorriso amaro e sarcastico, resta ancora un buon risultato Le invasioni barbariche. Torniamo alla faccina pulita e sana di Adam, che Gordon-Levitt riesce a mantenere fino alla fine in un esterrefatto candore. “Non è possibile, non fumo, non bevo” e, non lo dice, soprattutto non è giusto, la giovinezza è amica protettrice e generosa. La depressione di Adam, lo sconcerto e la sospensione di ogni fiducia, sono il primo passo di una educazione alla coscienza della caducità che tocca con umorismo l'incapacità del mondo circostante ad accettare il nostro morire.
Circondato da personaggi standard della commedia metropolitana indie, un amico buffo che tuttavia ha profondità e sense of humour, una fidanzata che lo tradisce e una sensibile terapeuta che potrebbe innamorarsi, Adam va alla fine, in un vero, toccante, inevitabile finale. Lo sceneggiatore è stato toccato da vicenda analoga e la regia prova a ricevere lo spirito del disincanto, iniettandolo nel film per far saltare il genere.