Come trasportato da una folata di vento del deserto del suo Zabriskie Point, Michelangelo Antonioni ha raggiunto, nel paradiso dei cineasti, Ingmar Bergman. Quasi un logico destino, ricordando il particolare dell'omicidio in Blow Up, il suo sguardo si unisce a quello del regista svedese in un grande monito lasciato come perenne eredità alle nuove generazioni che vivono, fanno e celebrano il cinema: lasciatevi condurre dalla vostra anima. In ogni suo film la sua anima era lo sguardo: uno sguardo angosciato, uno sguardo abissale, severo, lucido, sull'umanità, sulla donna, sull'alienazione dei sentimenti e, di riflesso, della società contemporanea, così come narrata nella splendida trilogia formata da L'avventura, La notte e L'eclisse. Moderno, innovativo nella ricerca anche delle tecniche più avanzate, genialmente maniacale nel costruire sequenze e inquadrature costruite per sedurre lo spettatore, condurlo inesorabilmente nel suo mondo asciutto e leggero, come era lui nella vita, come lo è la sua pittura con la quale, privato negli ultimi anni della parola, comunicava le sue idee, i moti di un animo forte ed elegante. Ha attraversato, infatti, la vita punteggiata da tanti, inaspettati ostacoli, e si è avvicinato alla morte con quell'eleganza che il cardinale Martini, in una delle sue recenti omelie, ha descritto come una qualità umana e cristiana. Lo sguardo elegante di Antonioni, la nobiltà di una quieta esistenza, sono il suo testamento. Lo sguardo per un film che purtroppo, nel 1982, non ha mai visto la luce, dedicato a San Francesco, avvicinato con il pudore di un laico e la sincerità dell'artista. Lo sguardo come protagonista di un cortometraggio, Lo sguardo di Michelangelo appunto, ultima, emblematica, profetica fatica, lezione indiscutibile di regia e indubitabile di vita, ispirato al Mausoleo di Giulio II scolpito da Michelangelo nella Basilica di San Pietro in Vincoli: un silenzio più loquace d'ogni parola accompagna Antonioni dinanzi al sepolcro del Pontefice, egli scruta curioso i particolari delle mani, giunte in preghiera, di Lia e Rachele, simboli della vita attiva e contemplativa, simboli della vita di Antonioni. Mosè guarda severo il regista. Lui, come è accaduto la scorsa notte, si allontana sereno e pacificato.