Anche Cannes ha mollato il colpo. Il festival francese, previsto dal 12 al 23 maggio prossimi, conferma l’inevitabile: un rinvio in data da destinarsi, forse “tra fine giugno e inizio luglio 2020”.

Dire oggi se la nuova paventata collocazione sia realistica è irrealistico, e viceversa. La ragione anti-pandemica ha delle ragioni che il festival non (ri)conosce, eppure dovrebbe valere il solito: primum vivere deinde cinematographari.

Quella comunicata ieri dalla manifestazione diretta da Thierry Fremaux e presieduta da Pierre Lescure, quantunque condizionata, è una resa all’evidenza: dal 12 al 23 maggio il festival l’avrebbero fatto loro, e solo loro, nella duplice veste di ospiti e pubblico. E l’opzione di un Marché online ventilata dagli americani avrebbe corroborato il deserto.

Ora, “tra fine giugno e inizio luglio 2020” non è una data, ma un desiderio: buttare il cuore cinefilo, ovvero il primo festival cinematografico al mondo, oltre l’ostacolo pandemico.

C’è però anche un aspetto tattico – no, non strategico – dietro quel desio: mantenere viva la possibilità – il miraggio? - di un approdo sulla Croisette che inibisca produttori, distributori e industry dal rimettersi in tasca i film sin d’ora e aspettare tempi migliori, ovvero altri festival.

Se vogliamo, anche la strombazzata – per la prima volta – conferenza stampa di metà aprile di presentazione del cartellone, rispondeva alla stessa esigenza: dire “questi film sono nostri”, affermare lo ius prima noctis, mettere le mani e il palinsesto avanti,  nel caso di forzata emigrazione verso altri lidi. Pardon, altro Lido.

Già, nella migliore delle ipotesi di fine-pandemia, la 73esima edizione del Festival di Cannes si terrà dal 2 al 12 settembre. A Venezia.