“Il libro, e ora il film, ha qualcosa di sorprendente: è come un faro che rimane lì, ha argomenti pertinenti al mondo di oggi, in tanti luoghi diversi. Il tema è chi decide, come il potere diventa potere, chi decide chi non è indispensabile e può essere scartato”.

Parola di Johnny Depp, che torna alla Mostra di Venezia, in Concorso, con l’adattamento del celebre libro di J. M. Coetzee, Waiting for the Barbarians, diretto da Ciro Guerra.

 

Prodotto da Iervolino Entertainment (Michael Fitzgerald, Olga Segura, Monika Bacardi, Andrea Iervolino), nel cast oltre a Depp Mark Rylance, Robert Pattinson, Gana Bayarsaikhan e Greta Scacchi, il film inquadra un magistrato (Rylance), amministratore di un avamposto di frontiera di un impero senza nome, che aspetta con la pensione. Ma l’arrivo del colonnello Joll (Depp), incaricato di riferire sulle attività dei barbari al confine, porterà a una serie di spietati interrogatori: la tortura di una giovane donna barbara spingerà il magistrato alla ribellione.

Per il suo Joll Depp rifiuta il semplice appellativo di cattivo: “Che fa un cattivo, la mattina si rade e si dice ‘oggi sarò il più cattivo al mondo’? Non credo. Joll non è solo cattivo, sarebbe stato semplice: è una persona senza emozioni o in quell'uomo c'è un bambino spezzato? Ha allontanato l’emozione, posto dei muri dentro di sé, ma che fa quando è da solo, piange in bagno? Il Joll esteriore è sadico, quello dentro masochista, ed è il masochista ad avere il controllo”. E sui suoi occhiali: “Sono occhiali minacciosi, un modo per mantenere l’armatura”.

Secondo il regista Ciro Guerra, “il romanzo è allegoria della costruzione del mondo intorno al potere e alle cose di cui il potere ha bisogno per controllare persone. L’adattamento l’ha fatto Coetzee stesso, e mi ha sorpreso la profondità del testo, mi ha incoraggiato a metterci mano, a toccarlo. Non solo, mentre lo giravamo, sempre meno Waiting for the Barbarians mi sembrava un’allegoria, ma assomigliava al mondo di oggi”. Sul rapporto con il libro, e sul finale diverso, Guerra aggiunge: “Il 2019 è diverso da 1980, alla fine c’è incertezza totale: non si sa chi sta arrivando. Il film è diverso dal romanzo, l’unico modo è tradirlo”. Ancora, sui barbari ieri come oggi: “Abbiamo bisogno dei barbari, possiamo odiarli, puntarci contro il dito, difficile è capire che il dito dovremmo rivolgerlo contro di noi”.

Sulla stessa lunghezza d’onda, Rylance: “Molte cose che fa il magistrato le avrei fatto anche io, mi sono reso conto della cultura barbara in Inghilterra a causa dell’imperialismo sulla natura. C’è inconsapevolezza della fetta pancetta che mangiamo, non sappiamo quanto è stata torturata la bestia”. Per l’attore, “il punto centrale convivenza con altri, con tutte le cose, senza vittimizzazione. Non c’è impotenza nel mio magistrato, lui e il colonnello sono due lati della stessa moneta imperialista, il torturatore e il salvatore, che contribuiscono alla vittimizzazione delle persone: lo so, è difficile da capire”.

Chiude Depp, lodando l’Italia e gli italiani: “Lavorare in Italia è incredibile, le persone parlano bene l’italiano, il cibo è buono, di tanto in tanto bevo un goccio di vino, mi piace, perché ridete?”. Ma il suo ultimo pensiero è per la figlia Lily-Rose, anche lei passata al Lido con The King di David Michod: “Bellissimo essere al festival con mia figlia, può solo farmi piacere. Quando era più piccola veniva spesso a Venezia con me, e oggi vedere una giovane donna che si presenta con grande dignità, avendo fatto le sue scelte - poteva fare film dove si guadagna molto, ma non fa parte di lei. I miei figli sono i miei dei”.