Il Leone d'Oro a Sacro GRA di Gianfranco Rosi riporta l'Italia a trionfare in casa propria, quindici anni dopo Così ridevano di Gianni Amelio. E' un'affermazione forte, tanto più perché ottenuta da un film che non è un "semplice" film. Per la prima volta, infatti, la Mostra di Venezia (nove anni dopo la vittoria a Cannes di Fahrenheit 9/11 di Michael Moore) vede assegnare il Leone d'Oro a un documentario, proprio nell'anno in cui, per la prima volta in 70 edizioni, in Concorso sono stati presentati due film "non di finzione" (l'altro è The Unknown Known di Errol Morris). Questo premio certifica definitivamente la morte di una ghettizzazione, affermando con forza che la barriera tra cinema del reale e cinema di finzione è stata abbattuta. Un premio che deve essere inteso soprattutto in questo senso visto che, proprio come accaduto l'anno scorso con il film innegabilmente più bello del Concorso (The Master, Leone d'Argento e Coppa Volpi ai due interpreti maschili), quest'anno la giuria presieduta da Bernardo Bertolucci ha voluto ribadire con due premi di peso la qualità di un film, il greco Miss Violence, che ottiene il Leone d'Argento per la migliore regia e la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile (Themis Panou). Era questo, forse, il film più "forte" dell'intero Concorso, e non solo per la delicata tematica affrontata. Ma l'indicazione arrivata da Bertolucci insieme agli altri 8 giurati non deve essere sottovalutata, perché come ha ricordato giorni fa lo stesso Gianfranco Rosi, "non deve esistere una separazione ideologica tra documentario e cinema di finzione, quello che conta è saper distinguere ciò che è vero da ciò che è falso". Proprio quello che tenta di fare un'opera come Sacro GRA, viaggio tra l'umanità nascosta ai margini del Raccordo Anulare di Roma.
Anche in questa direzione, allora, vanno decifrati gli altri due importanti riconoscimenti assegnati a La moglie del poliziotto di Philip Groening e a Stray Dogs di Tsai Ming-liang, rispettivamente Premio Speciale della Giuria e Gran Premio della Giuria: i due film forse più ostici di Venezia 70, e non solo in termini di durata (172' e 138'), opere "esemplari" che tentano di ragionare sul cinema non solo in termini di racconto, ma che provano ad andare oltre il concetto stesso di visione, quasi costringendo lo spettatore a riconsiderare le coordinate del tempo (Stray Dogs) e la sua frammentazione (La moglie del poliziotto).
In quest'ottica, non bisogna dunque sorprendersi se Philomena di Stephen Frears ha ottenuto solo il premio per la miglior sceneggiatura: mettendo d'accordo praticamente tutti, il film con Judi Dench si allontana però dai requisiti di "sorpresa" che lo stesso Bertolucci aveva invocato di scorgere tra le opere in Concorso. Che Judi Dench sia un'attrice straordinaria non lo scopriamo certo oggi: magari la Coppa Volpi femminile ad Elena Cotta (per Via Castellana Bandiera) va letta proprio così, attraverso un'interpretazione (muta) di straordinaria intensità, con la quale un'attrice di 82 anni dimenticata dal cinema (non dal teatro), è riuscita a "sorprendere" i giurati, e non solo.