“Non era Ibrahimović. Non era toccato da una grazia fisica, ma aveva una straordinaria intelligenza che gli ha consentito di reagire a tutte le intemperie della vita”. A parlare è Walter Veltroni alla presentazione di È stato tutto bello – Storia di Paolino e Pablito, che racconta il grande calciatore Paolo Rossi.

Prodotto da Palomar in collaborazione con Vision che lo distribuirà nelle sale il 19, 20, 21 settembre, il racconto di “Pablito che in fondo è rimasto sempre Paolino” andrà poi su Sky.

Tanto materiale di repertorio: un anno e mezzo di raccolta nelle teche Rai e in tutti gli archivi possibili immaginabili. E tante testimonianze e interviste: dal fratello Rossano a Federica Cappelletti, la seconda moglie di Paolo Rossi, fino all’ex calciatore Marco Tardelli.

“Ho cercato di affrontare la parte di Pablito attraverso il ricordo delle persone che gli hanno voluto bene- racconta Veltroni-. Sono tornato a Barcellona per ritrovare alcuni luoghi, a Madrid nell’albergo e negli stadi, poi a Perugia e Vincenza. Mi affascinava la storia di un ragazzo non particolare nato a Prato, uno dei tanti milioni di italiani che ce l’hanno fatta passando attraverso il dolore. Il suo rapporto con il dolore, le sue radici popolari, la sua fisicità lontana da quella canonica di un calciatore mi hanno colpito. È il prototipo del modo migliore di essere italiano”.

Walter Veltroni - backstage

E Federica Cappelletti: “Walter è riuscito a tirare fuori il Paolo che io ho conosciuto, quello più privato, quello all’interno delle mura domestiche, non quello pubblico. Con il suo garbo ci ha aiutato a raccontarlo. Non è stato semplice perché sono stati momenti dolorosi. Era morto da poco. Paolo era una persona straordinaria non solo sul campo da calcio ma soprattutto fuori”.

Tra i vari ricordi dei familiari, oltre a quello di suo fratello (“Nostra madre non voleva mandarlo a giocare fuori, io la convinsi e lui realizzò il suo e il nostro sogno: quello di giocare in serie A. Mi manca tanto il suo sorriso” - ndr. Paolo Rossi appena quattordicenne, viene chiamato a giocare nella giovanile della Juventus, che lo costringe a trasferirsi da solo a Torino), anche quello delle sue figlie: Sofia Elena (9 anni) e Maria Vittoria (11 anni). Alla domanda di una giornalista: era proprio necessario fare parlare pure le due bambine, non si rischia così di sfociare verso derive alla Barbara D’Urso?

“Io rispetto i bambini perché penso che abbiano tante idee e cose da dire- risponde Veltroni-. Non c’era ragione di non ascoltare la loro saggia e gentile voce. Ho fatto un film I bambini sanno e a quei bambini ho chiesto di tutto dall’omosessualità all’immigrazione. I bambini spesso vengono usati, ma noi gli abbiamo fatto domande su come stavano con loro padre e penso che abbiamo affrontato la materia con delicatezza e rispetto. Da figlio di un padre che non ho conosciuto, perché è morto quando io avevo solo un anno, posso dire che non c’era cosa che mi piacesse di più che parlare di lui. E mi sono comportato seguendo questo mio sentire”.

E a proposito di domande scomode da parte dei giornalisti, sul silenzio stampa che ci fu durante il Mondiale di Spagna dell’’82 Marco Tardelli dice: “Non siete terribili siete giornalisti e ogni tanto volete attaccare senza conoscere le cose. Ringrazio anche la stampa perché ci ha fatto arrabbiare e ci ha dato la spinta per raggiungere alcuni traguardi. Il loro lavoro in quel momento era cercare di distruggere Bearzot più che la nazionale e Paolo perché non faceva goal. Non ci sono riusciti e anche se non parlavamo vendettero un sacco di copie. Insomma alla fine è stata una cosa buona sia per noi calciatori che per la stampa”.

Tante le difficoltà che Paolo Rossi dovette affrontare durante la sua carriera: dal menisco rotto per tre volte consecutive alle accuse nel brutto affaire del calcioscommesse, per il quale fu condannato a due anni di assenza dai campi.

“Ho raccontato la storia di un italiano attraverso la storia di Paolino e Pablito- dice Veltroni-. Mi sono mosso lateralmente rispetto alle cronache ufficiali. Lui era uno che sentiva a suo agio in comunità simili a Prato come Perugia o Vicenza. La parte juventina è stata importante all’inizio nella sua formazione, però le sue vere radici erano da un’altra parte in una parte più comunitaria”.

Infine sui mondiali dell’’82 conclude: “Non c’è stata alcuna gioia sportiva paragonabile a quella dei mondiali del 1982. Ci fu una sensazione di cambio di clima con questi ventidue ragazzi che hanno regalato all’Italia una grandissima gioia. Pertini racconta di una gioia che ci fu in tutte le case degli italiani. Tutte quelle immagini rimangono nella memoria collettiva del paese. Un pallone, carico di significati, che è stato più forte del piombo, perché ci volevamo liberare da quegli anni lì”.