"E' difficile argomentare con la verità". Kathryn Bigelow taglia corto, e stoppa sul nascere ogni discussione riguardo al presunto "relativismo" del suo war-movie iracheno, The Hurt Locker, una specie di docu-fiction incentrata su una divisione specializzata dell'esercito americano in Iraq, che passa oggi in Concorso a Venezia e sarà nelle sale italiane presumibilmente il 10 ottobre, distribuito da Videa CDE. "L'urgenza che mi ha spinto a trattare questo tema, e mi ha sorretto durante tutta la fase di lavorazione - continua la regista americana, da sei anni lontana dal cinema (l'ultimo lavoro della Bigelow era stato K-19) - è stata la ricerca del massimo realismo. Volevo raccontare con perfetta adesione vita e psicologie di questi soldati che decidono volontariamente di rischiare la pelle in un Paese lontano, e volevo farlo nel momento in cui la rischiano. Ho avuto la fortuna di avere tra le mani una sceneggiatura estremamente dettagliata e precisa, che mi ha consentito di poter lavorare meglio sulla messa in scena". La sceneggiatura a cui fa riferimento la Bigelow è quella di Mark Boal (che aveva precedentemente collaborato con Haggis in occasione di In The Valley of Elah, un reporter americano che nel 2004 è andato al seguito di un'unità speciale anti-bomba di stanza a Bagdad: "Quando Mark è tornato da quell'esperienza, è venuto a trovarmi raccontandomi tutto quello che aveva visto e vissuto con quei soldati. I suoi racconti mi hanno convinto a fare il film. E'così raro oggi trovare delle buone storie", confessa la regista. Che sull'onestà dell'operazione insiste molto, ricordando anche che "i prigionieri iracheni che si vedono in The Hurt Locker sono davvero ex prigionieri iracheni dell'esercito americano in Iraq" e "i soldati americani che anno visto il film si sono riconosciuti molto nella descrizione che di loro viene data". Anche la tuta che indossa il protagonista "è quella in dotazione agli sminatori dell'esercito. Pesa 40 chili". Se la ricorda bene quella tuta Jeremy Renner, che nel film è il sergente William James, il capo dell'Unità Speciale addetta al disarmo delle bombe irachene, perché è stato costretto a indossarla per gran parte delle riprese: "L'addestramento è stata la parte più difficile del mio lavoro. - conferma l'attore, già visto in 28 settimane dopo di Fresnadillo, sempre nella parte di un integerrimo marine - La sceneggiatura era molto dettagliata e noi attori non abbiamo dovuto improvvisare molto. Il discorso cambia se si parla della preparazione fisica. Ho dovuto maneggiare armi da taglio ed esplosivi, imparare la tattica militare, i movimenti. Un'esperienza che spero non debba mai servirmi nella vita reale". Rifiuta, Renner, il ruolo di protagonista del film: "Il vero protagonista - suggerisce - è la Giordania, con le sue luci, il deserto, le case, l'aria di tensione che vi si respira". Una tensione che, a sentire Renner e i due compagni di ventura Anthony Mackie e Brian Geraghty, "faceva parte solo del set. La Giordania è un paese molto americanizzato, grazioso e tranquillo. Una location già utilizzta da altre produzioni. Le uniche due volte in cui abbiamo avuto paura è stato quando ci è piovuto addosso dal quarto piano di un palazzo un mucchio di chiodi, e quando abbiamo sentito dell'esplosioni in prossimità del set. Sul primo episodio non abbiamo mai scoperto se fosse stato intenzionale o fortuito. Sul secondo abbiamo scoperto dopo che si trattava di un matrimonio. In Giordania c'è l'abitudine di sparare in aria durante i festeggiamenti". Interrogati sul loro - e più in generale su quello della loro generazione - grado di coinvolgimento emotivo nel progetto, i tre rifiutano l'etichetta di "disimpegnati", e anzi sostengono che, non diversamente dall'epoca del Vietnam, in America "c'è molto dibattito su questa guerra, come dimostra la campagna presidenziale in corso". Quelli di Renner, Mackie e Geraghty sono volti simpatici ma poco noti al grande pubblico: "Una scelta - dice la Bigelow - che ha ostacolato la ricerca di finanziamenti. Ma sono attori formidabili e adatti a quello che intendevo fare col film. Non volevo delle star, dei volti che la gente avrebbe riconosciuto e collegato ad altri personaggi. Ma un pubblico capace di vedere il film con sguardo sgombro da pregiudizi". Immancabile il sondaggio finale sulla corsa alla Casa Bianca. I democratici stiano tranquilli. Anche la Bigelow voterà Obama.