L'ottava edizione della festa del documentario “Hai visto mai?” si è conclusa con l'assegnazione del premio a Stelle contate sulle dita di Giuseppe Carrieri. Per realizzare il suo progetto si è spinto fino alle regioni meno urbanizzate dell'India  per scoprire le reazioni degli abitanti del posto nei confronti dell'arrivo inesorabile dell'elettricità, nemica della notte e  mal vista da chi con la notte ha convissuto per una vita intera. Poco prima della consegna del premio siamo riusciti a fare una chiacchierata con Luca Zingaretti, direttore del festival, impegnato in questo periodo sui fronti più diversi.

8 anni di Hai visto mai?. Come è nato il progetto e come si è sviluppato edizione dopo edizione?
Il progetto nasce nella sala da pranzo di Vittorio Gambria, un caro amico che gestisce un agriturismo dove io e Luisa [Ranieri, ndr], appena fidanzati, scappavamo per sfuggire agli sguardi indiscreti dei paparazzi. Venni invitato a conoscere il sindaco di Monticiano che mi parlò della sua esigenza di fare qualcosa di culturalmente valido nella zona della Val di Merse, che è la valle secondo me più bella e più autentica della provincia di Siena ma anche la meno conosciuta, dove vive ancora gente del posto, rispetto ad altre valli più famose che sono diventate chic col passare del tempo e dove però tutto sembra essere posticcio, ad uso e consumo del turismo. Io avevo appena finito la mia seconda regia di un documentario,  e ci venne in mente di fare un festival dedicato a questo genere. Doveva essere un'esperienza una tantum e invece siamo ancora qui, tra tante difficoltà e tanta fatica, ma felici di esserci. Abbiamo scelto il documentario perché in un momento come quello che stiamo vivendo, in cui la tecnologia ti permette di azzerare i tempi che separano l'evento dalla notizia che se ne da, ci è sembrato importante dare un valore alla riflessione su quello che accade, all'opportunità di verificarne le fonti, alla capacità di approfondimento, e queste possibilità sono proprie di questo genere. Credo quindi che il documentario avrà un grande futuro in questo senso, anche se in Italia non riesce ad emergere come dovrebbe, probabilmente per una nostra peculiare carenza: siamo un popolo che legge poco, che ha scarsa attenzione per gli eventi culturali e per le notizie in generale. In altri paesi, penso a quelli anglosassoni, alla Francia, ai paesi scandinavi, il documentario è un genere con una sua importanza che riesce anche ad uscire nelle sale. Questa nostra difficoltà probabilmente deriva anche dal fatto che in Italia è difficile portare a termine un progetto documentaristico, nessuno ci vede un reale guadagno, è un genere che non ha un circuito. Ma se non si investe e non si crea un audience non sarà mai possibile iniziare un discorso in  questo senso. Abbiamo quindi cercato di fare qualcosa noi per far si che il documentario sia qualcosa di apprezza to anche in Italia. Io penso che se ci fosse una politica illuminata rispetto a questo discorso, il documentario potrebbe diventare un genere con un suo seguito anche in Italia. Spero davvero che questo accada, noi nel nostro piccolo ce la metteremo tutta.

La vittoria di Sacro GRA al Festival di Venezia non ti fa sperare in meglio?
Sinceramente dico no, nel senso che purtroppo è un evento mediaticamente importante ma il cui effetto rispetto al mercato è praticamente nullo. Riuscirà ad uscire nelle sale ma dopo di che tutto ripiomberà nello stato attuale delle cose. Io penso che se qualcosa si vuole cambiare bisogna partire da uno strumento di massa come potrebbe essere la televisione. Non si possono proiettare in sala tutti i documentari che si producono, anche perché non tutti sono fatti per arrivare in sala. Io penso che ci voglia una televisione che dedichi uno spazio importante a questo genere, ci vogliono dei canali interamente dedicati a questo, così da creare un pubblico nel quale crescano dei bisogni che poi spetterà ai produttori soddisfare con un investimento reale. Oggi realizzare un documentario in Italia è quasi un'impresa impossibile: o decidi di investire dei soldi a fondo perduto o è molto difficile che si riesca a pareggiare o addirittura a guadagnare.

Che importanza ha avuto la regione Toscana in questo?
La regione Toscana ci è stata vicino fin dall'inizio. Credo dapprima - e lo dico immodestamente - grazie al fatto che c'ero io: un personaggio conosciuto che viene in un piccolo paese della Toscana meritava un minimo di attenzione. Attenzione data sulla base della fiducia e del mio nome prima e dei risultati poi. Sono effettivamente rimasti molto colpiti da quello che siamo riusciti a fare con le nostre poche risorse e ci sono stati vicino fino all'ultimo. Hanno accresciuto il loro aiuto e ci hanno aiutato anche sotto il punto di vista istituzionale, molto importante per noi. Posso dire, e non tanto perché ne sia stato beneficato, che la regione Toscana è una delle poche regioni in Italia che investe nella cultura, e che ha capito che farlo non vuol dire essere eleganti, o fare qualcosa di eticamente giusto, ma è un vero e proprio investimento, perché il turismo si nutre anche di queste cose. Si tratta di fare di un territorio una zona che abbia qualcosa da offrire.

Di cos'altro ti stai occupando in questi mesi?
Sto vivendo i un periodo piuttosto felice sotto il punto di vista professionale. Ho appena finito di girare una fiction per Rai uno intitolata Il giudice meschino tratta da un libro di Mimmo Gangemi per la regia di Carlo Carlei, l'ho finita giovedì notte [un giorno prima dell'inizio del festival ndr] e ancora non è stato deciso quando uscirà. Il 22 ottobre su Rai uno uscirà Olivetti, una miniserie su, appunto, Adriano Olivetti. È una cosa a cui tengo particolarmente, soprattutto perché mi ha dato modo di scoprire il pensiero di un grande uomo. Così come lo facevo io, anche la stragrande maggioranza degli italiani associa spesso il nome Olivetti solo alle macchine da scrivere, ed è davvero riduttivo vista la grandezza del personaggio. Mi sono molto divertito a farlo, è una fiction emozionante e piacevole che racconta la storia di un grande uomo. Ho girato, sempre in estate, una commedia di Angelo Longoni per il cinema che si chiama Malmdamore ed uscirà intorno a novembre

Teatro?
A novembre ricomincio con La torre d'avorio, un testo di Sir Ronald Harwood cha abbiamo già messo in scena lo scorso anno, di cui ho curato la regia nominata anche a le maschere del teatro italiano, il più grande riconoscimento teatrale nostrano e non lo dico per fanatismo ma perché mi ha fatto davvero tanto piacere il fatto che la mia prima regia sia stata anche solo nominata. E' uno spettacolo che ci ha riservato tante belle sorprese e non è un testo facile: si tratta  della trascrizione di una sorta di processo svolto da parte degli alleati cui venne sottoposto Wilhelm Furtwängler , che era stato il più famoso direttore d'orchestra della Germania nazista - nonché del secolo scorso - per capire quanto lui fosse stato coinvolto nel nazismo.

Documentario, cinema, TV e teatro. Casa tua dov'è?
Bella domanda, non so neanche dov'è casa mia intesa in senso fisico, visto che questi ultimi anni li ho passati molto poco a casa e tanto in giro. Io nasco con il teatro: durante i primi miei 12 anni di lavoro ho fatto sempre e solo quello. Direi quindi teatro, ma aggiungo che in realtà per un attore il massimo della goduria e del lusso è proprio potersi concedere incursioni nei vari ambiti, perché ti dà la possibilità di provarti in tutte quelle che sono le possibilità del tuo mestiere.