Gli ultimi due film in corsa per l’Orso d’Oro sono stati il polacco United States Of Love di Tomasz Wasilewski e l’iraniano A Dragon Arrives di Mani Haghighi. Scelta coraggiosa per una chiusura di concorso all’insegna di un cinema che non fa sconti. L’anno di United States Of Love è il 1990. Il soggetto è la vita di quattro donne chiusa nelle caserme socaliste di periferia di una qualsiasi città polacca (probabilmente Inowrocmaw vicino Torun, la città del giovane regista Wasilewski).

Un film grigio, di grandi piani sequenza grigi. E poetico. Se, appena oltre il fiume Oder, in Germania e in Europa occidentale in quello stesso anno si respirava la rottura e il futuro e un mondo nuovo, in Polonia, così come c’è da immaginare anche nel resto del blocco ex socialista, il tempo si è semplicemente fermato. La fotografia è il punto di forza di questa pellicola, anche grazie alla maestria dela cameraman rumeno Oleg Mutu – creatore delle luci affascinanti dei film di Cristian Mungiu e Sergej Loznitsa. Con lui i grigi diventano marroni, o beige. A dare forma al film sono proprio i I palazzi popolari sono la metafora plastica della rassegnazione. Sembrano grandi gabbie per uccelli. Mancano solo le reti. Una nuova era è ufficialmente iniziata in Europa. Un’Europa che qui sembra un altro continente. Quando le storie delle quattro donne prendono il loro avvio, il mondo in cui sono immerse appare via via sempre più astratto, lontano, inspiegabile. Cosa manca a queste donne? Più o meno tutto. Come reagiscono alle condizioni date? Tristi, arrabbiate, in modi bizzarri.

Critica del capitalismo? Nostalgia retro? Per il regista nato negli anni 80 non si tratta di nulla di tutto ciò. Quello che gli interessava era analizzare, e raccontare con il massimo del distacco possibile, il blocco emozionale delle protagoniste che trova sfogo in una sessualità egoista e straniante, in un desiderio senza vita. Notevole la capacità di questo 35enne di raccontare storie intime con uno sguardo così sensibile e attento. Certe scene avrebbe potuto girarle Bergman. È questa sensibilità nel raccontare gli abissi di vite senza vita a fare di questo film una grande prova. Benvenuti negli Stati Uniti della solitudine e dell’insensibilità.