L'unione fa la forza, ma può creare qualche imbarazzo. Succede se a coalizzarsi sono dei ruvidi minatori gallesi e un gruppo di attivisti per i diritti omo.
Siamo nel 1984, in Gran Bretagna, e la politica di lacrime e sangue imposta dall'allora primo ministro Margaret Thatcher prevede lo smantellamento di venti siti estrattivi e la perdita di numerosi posti di lavoro. I minatori di tutto il paese non ci stanno e organizzano uno sciopero che si protrae per quasi un anno. Particolarmente grave la situazione a Onllwyn, villaggio del Galles che vive grazie all'estrazione del carbone: le cariche della polizia, gli arresti e la fame rischiano di piegare la volontà dei minatori e delle loro famiglie, dandola vinta alla Thatcher. E' allora che un gruppo di giovani londinesi, riuniti nella sigla LGSM (Lesbians and Gays Support the Miners), interviene offrendo sostegno morale e supporto materiale. Ma non tutti sono disposti a superare il pregiudizio accettando il loro aiuto.
Suona come una favola, ma è tutto vero e raccontato da Pride, il bel film inglese che Teodora Film porterà nelle nostre sale dall'11 dicembre, dopo il clamoroso successo di pubblico e critica in patria e la trionfale accoglienza all'ultimo festival di Cannes, dove è stato presentato alla Quinzaine des Réalisateurs. Con un cast in stato di grazia – che unisce interpreti di grande esperienza come Bill Nighy e Imelda Staunton a giovani di sicuro avvenire come George Mackay e Joseph Gilgun – e la consumata abilità dei teatranti Stephen Beresford (sceneggiatore) e Matthew Warchus (regista), che confezionano e mettono in scena un copione ad orologeria, Pride rappresenta la quintessenza del cinema inglese: vocazione operaia e precisione drammaturgica, entrambe declinate in commedia.
Un'operazione che, a partire dal tema, ripercorre sentieri già battuti da Grazie, signora Thatcher (1996) e Billy Elliot (2000), ma con una storia assolutamente inedita: “Molte persone non ci credono quando la sentono per la prima volta, e lo stesso è successo a me – ha dichiarato Stephen Beresford durante la conferenza stampa romana del film -. Ma sapevo anche che, se fosse stata una storia vera, sarebbe stata a dir poco incredibile. Spinto dalla curiosità, anni fa avevo fatto ricerche, trovando pochi documenti. Poi mi capitò di leggere un libro con un passaggio dedicato a Mark Ashton (il leader dei LGSM, ndr), che confermava tutto”. Pride è la prima sceneggiatura cinematografica di Beresford e il copione tra i suoi che ha richiesto meno inventiva: “Una volta iniziato a scrivere ho capito che volevo e dovevo ancorarlo alla verità, senza allontanarmene. Questa storia era già incredibilmente importante”.   Ad accompagnare lo sceneggiatore nella Capitale due degli attori protagonisti, Andrew Scott e George Mackay (interpretano entrambi due attivisti dei diritti omosex): il primo è noto soprattutto per il ruolo del Professor Moriarty nella serie Sherlock Holmes (“Dopo tanti ruoli dark, Pride mi ha offerto la possibilità di interpretare un personaggio gentile”), mentre il secondo si era messo in luce l'anno scorso con il sorprendente Il superstite, che gli era valso un premio Bafta (“Ci sono stati diversi momenti emozionanti durante le riprese, ma quello che ricordo di più è il ciak in cui le donne dei minatori si alzano e iniziano a cantare Bread and Roses”).
”C'è anche un aneddoto italiano su Pride - rivela Beresford -. Due membri di LGSM vennero nel vostro paese per raccogliere fondi e cibo. Furono accolti calorosamente e tornarono a casa con enormi quantità di pasta e di barattoli di olio d'oliva, che fecero arrivare ai minatori gallesi ridotti alla fame. Ma era il 1984, e pochi conoscevano allora le delizie della cucina italiana. Non sapendo bene come comportarsi con tutta quella pasta e quell'olio, i gallesi finirono per friggere i fusilli nell'olio come fossero patatine”.   Risate a parte, Pride prende molto sul serio la questione dei diritti e il bisogno di vicinanza tra gli esseri umani: “Siamo più simili di quanto non si ammetta” , sostiene Beresford. E conclude: “Spero che un film come questo faccia nascere nei più giovani la voglia di tornare in strada a incontrare gli altri. Oggi non abbiamo più una signora Thatcher contro cui lottare, non sappiamo nemmeno contro chi prendercela: la classe politica è sparita, i mercati e le banche sono invece invisibili. Viviamo le nostre esistenze virtuali in totale isolamento. Su internet si possono fare diverse battaglie, è vero, ma non si possono incontrare vere persone. E sono queste il seme delle comunità”.