Niente sconti per nessuno. Da Solomon pagano tutti, quelli che hanno soldi e quelli che non ne hanno. Le donne, se vogliono, in natura. Solomon fornisce: lasciapassare, documenti, passaporti, tutti falsi, tutti utili, specie se sei un ebreo in Germania negli anni del nazismo. Specie se c'è la guerra e se rimani ti uccideranno comunque, che tu combatta oppure no.  Ma Solomon no, lui è troppo furbo per morire. Baro, traffichino, falsario, ma anche pittore senza ambizioni perché, ama ripetere, "fare soldi facendo i soldi è più diretto che fare soldi vendendo arte".  Poco importa che a pagare siano altri ebrei come lui, la cosa non lo riguarda che "lui è lui, e gli altri sono gli altri". E così, bassezza dopo bassezza, il nostro si ritrova, da semita, a fare un patto col diavolo, ossia con un capo delle SS in persona: potrà sopravvivere nei campi di concentramento - dove verrà spedito comunque -  se metterà al servizio del Reich le sue formidabili qualità di falsificatore. Obiettivo? Produrre una mole inimmaginabile di sterline e dollari falsi tale da sabotare l'economia anglo-americana. "Non affrettiamoci a giudicarlo: che differenza c'è fra Solomon che gioca a ping pong a pochi metri dalle camera a gas e noi che facciamo vacanze nei resort di paesi dove la gente muore di fame e di guerra?". E' solo una delle provocazioni lanciate dall'austriaco Stefan  Ruzowitzky, ad oggi sconosciuto regista di due modestissimi horror (Anatomy e Anatomy 2), e ora artefice de Il falsario, da venerdì 25 gennaio nelle sale con 25 copie distribuite da Ladyfilm, un film che - come tutti quelli che toccano il delicato tema della Shoah - è destinato ad alimentare polemiche: "Quando si vive in un Paese come l'Austria, dove i partiti populisti di destra, con la loro intollerabile ideologia nazista, si prendono il 20% dei voti e partecipano al governo del Paese, affrontare un tema come questo diventa un'urgenza morale" si schermisce lui. Ma la precisazione non gli ha risparmiato un coro di critiche in Germania, dove il tema è ancora di quelli che scottano e Il falsario, presentato in anteprima all'ultima Berlinale, è stato candidato all'Oscar come miglior film straniero: "Ho il merito e la colpa di aver trattato in modo non convenzionale il tema dell'Olocausto", dice  Ruzowitzsky, che, come altri suoi giovani colleghi quali  von Donnersmark (Le vite degli altri) e Becker (Good bye, Lenin!) fa parte di una generazione in grado di avvicinarsi alla storia europea con uno sguardo nuovo. "Oggi possiamo fare film diversi, dall'approccio emotivo piuttosto che politico. A differenza della generazione dei Wenders o dei Fassbinder non ci sentiamo responsabili delle colpe dei padri. Le colpe ormai sono quelle dei nostri nonni". Ad accompagnare il regista all'anteprima romana il novantaduenne Adolf Burger, ebreo slovacco, uno del gruppo di falsari ancora in vita (nel film è il tipografo comunista che stringe una particolare amicizia con Solomon). La sceneggiatura è tratta proprio dal libro che Burger ha scritto a memoria della sua esperienza, The Devil's Workshop ("L'officina del diavolo"), inedito in Italia. "Quando quell'esperienza terribile è finita - racconta l'ex deportato - una delle mie sorelle che viveva in Palestina ha cercato di convincermi ad andare via con lei. Io però son voluto rimanere in Europa, perchè era qui che ancora avevano bisogno di me". Profetico. Burger, che ad Auschwitz ha pure perso la moglie, se ne sta in disparte, finchè: "Nel 1972 ricevo dalla Germania un volantino, in cui un neonazista (Erwin Schoenberg, ndr) offre 10.000 marchi a chiunque possa dimostrare di aver visto un solo ebreo entrare nelle camere a gas. Era il colmo. Decisi di muovermi, raccogliere documentazioni, foto, testimonianze. Il risultato di queste ricerche è tutto in questo libro e nelle lezioni che, da allora, tengo nelle scuole europee, perchè sempre più giovani sappiano cos'è veramente accaduto". Tornando a Solomon, a vestirne i panni è Karl Marcovics, lo Stocki del telefilm Il commissario Rex. Un personaggio, quello di Solomon, tutt'altro che fittizio, ricorda Burger.  Il suo vero cognome era Smolianoff, detto Sally, un ebreo impiegato dai nazisti in quella che fu ribattezzata Operazione Bernhard: 132 milioni di sterline perfettamente contraffatte destinate al mercato del regno di Sua Maestà. Alla liberazione dei campi Smolianoff mancava all'appello. A lungo ricercato dalla giustizia internazionale come criminale comune fu ritrovato solo nel 1960, morto. Si era rifugiato in Argentina, forse condividendo l'infame destino di qualcuno dei suoi "amici" proibiti. (Foto Pietro Coccia)