Vince Hrùtar (Rams), vincono i montoni di Grímur Hakonarson e la storia di una ritrovata sintonia tra fratelli in un remoto villaggio islandese. E' il verdetto di Un Certain Regard, la sezione più importante di Cannes dopo il concorso. Ed è un verdetto che farà discutere quello emesso dalla giuria capitanata dalla nostra Isabella Rossellini (con Haifaa Al Mansour, Nadine Labaki, Panos H. Koutras e Tahar Rahim): non c'è il nostro Minervini nel palmarés e il suo radicale The Other Side, viaggio nel cuore di tenebra dell'America e del cinema.

Non c'è nemmeno traccia di Apichatpong Weerasethakul che con Cemetery of Splendour aveva probabilmente regalato al festival il film più bello di questa edizione, un Amarcord thailandese tra sogno e veglia, vita e morte, cinema e biografia, sullo sfondo della dittatura. Bellissimo e trattato molto male. Stesso dicasi dell'ultimo lavoro di Brillante Mendoza, Taklub (Trap), una sorta di diario filmato all'indomani del tifone Haiyan che ha sfregiato la costa filippina provocando più di 6000 vittime. Un'opera che fonde magicamente lirismo ed etnografia, materialismo e fede, seguito ideale del meraviglioso Thy Womb.

Ci può stare il premio della giuria al croato Zvizdan di Dalibor Matanić, che narra di un amore in tre atti sullo sfondo della guerra dei Balcani. Ma il riconoscimento più azzeccato è quello alla regia, che va a un ritrovato Kiyoshi Kurosawa, capace di superare l'impasse del nichilismo nel suo nuovo e come sempre spettrale Kishibe no tabi (Journey to the Shore), dove i fantasmi però hanno smesso di fare paura per accompagnarci semmai in un nuovo sorprendente viaggio esistenziale.

Premio Un Certain Talent a Comoara (The Treasure) di Corneliu Porumboiu. Il Promising Future Prize viene invece assegnato ex-aequo all'iraniano Nahid e all'indiano Masaan.