“Similitudini tra la musica di oggi e degli Anni Sessanta? Allora dovevi fare una canzone di successo e tre mesi dopo un'altra: l’idea del singolo rimane uguale, ma tutto il resto è cambiato, oggi dominano le piattaforme, il discorso è globale. Del resto, ogni giorno escono 60mila produzioni nel mondo, 60 solo in Italia. Rimane il fatto che la musica non muore, si rinnova”.

Così Caterina Caselli che accompagna il film documentario Caterina Caselli – Una vita, cento vite, diretto da Renato De Maria e prodotto dalla Sugar Play del figlio Filippo.

Evento speciale alla XVI Festa di Roma, dal 13 al 15 dicembre in sala con Nexo Digital, scritto da De Maria con Pasquale Plastino, il doc è il racconto in prima persona di Caterina Caselli, che ha fatto della sua passione per la musica la vocazione di un’intera vita. Alternando aneddoti intimi a testimonianze pubbliche, ne emerge il ritratto di una donna che ha attraversato il tempo e spesso lo ha anticipato, attraverso un percorso esistenziale coraggioso, controcorrente: da artista rivoluzionaria negli anni ’60 a imprenditrice che ha saputo portare la musica italiana nel mondo.

Andrea Bocelli, Elisa, i Negramaro, Ennio Morricone sono solo alcuni dei nomi citati, accanto alle straordinarie partecipazioni di Francesco Guccini, Paolo Conte, Liliana Caselli, Mauro Malavasi, Giorgio Moroder, Stefano Senardi, Filippo Sugar.

“Il film non esisterebbe senza Renato, l’ho incontrato e ho sentito che poteva essere un fratello, dunque potevo raccontare seguendo la mia parte emozionale”, confessa la Caselli, che nel film parla di un “dolore mai raccontato prima”, il suicidio del padre: “E’ accaduto quando avevo 14 anni, la società era un po' spietata, non c’era chiesa per i suicidi. L’ho raccontato come fossi davanti allo psicanalista, avevo bisogno  di raccontarlo”.

Renato De Maria parla di “flusso narrativo in prima persona, un lavoro sulla sincerità in costanza. Ho voluto eliminare l’intervista, sondare il flusso immenso di una vita piena, una donna in continua trasformazione,  come il contesto sociale in cui si inseriva: beat, ribelle, poi imprenditrice, un percorso di trasformazione che è anche dell’Italia”. Aggiunge il produttore Filippo Sugar: “Non solo la musica di mamma, ma la tenacia, la curiosità, l’intelligenza, l’umanità che a volte il lavoro nasconde, ma c'è”.

Sul passaggio, e la sottesa rinuncia, da cantante a produttrice, Caselli non nutre rimpianti: “Sul palco in verità furono solo quattro anni, un periodo felice e intenso. Non tutti sanno che oltre a quella che si esibiva, c’era un’altra mia parte non conosciuta: la competizione mi metteva a disagio. Mi sono innamorata (il discografico Piero Sugar, il futuro marito, NdR), ed è un bene che sia accaduto, ho fatto un figlio, mi sono dedicata a lui, poi il richiamo della giungla, la decisione di diventare produttrice, qualcosa suggeritomi dall’intuizione, giacché da sempre avevo l’urgenza di far conoscere un talento ad altri. Insomma, ho trovato grandi soddisfazioni e mi sono levata il disagio della competizione: una carriera altrettanto importante, abbastanza impagabile”.

E sottolinea: “Come al Tarantino attore, a differenza dei colleghi, interessava l’intero cinema e non solo la sua parte, così è stato per me con la musica”.

Avercene di talenti come Caterina Caselli, ma appunto oggi ci sono ancora i veri talenti: “C'è molto sensazionalismo oggi,  e non solo per la musica: tutto è geniale, tutti bravissimi, no. Il vero talento è timido, democratico, può uscire ovunque. Chi ha qualità però esce e dura nel tempo, io ci credo ancora al talento”.