“In genere quando finisco un film poi non lo rivedo più”. Parola di Giuseppe Tornatore durante l’incontro con Federico Pontiggia, co-direttore artistico del Taormina Film Fest, prima della proiezione del suo doc Lo schermo a tre punte.  Presentato di fronte a una sala piena di gente a chiusura del programma cinematografico della 67esima edizione del Taormina Film Fest il film è un’ode alla Sicilia con la quale il regista di Bagheria ha riletto la sua terra attraverso più di 500 scene tratte da oltre 100 film girati e ambientati sull’isola.

“Quando mi è stato detto che volevano organizzare la proiezione del mio doc Lo schermo a tre punte ho avuto la sensazione di proiettare un ferro vecchio del mio lavoro- dice il regista Premio Oscar-. Mi sembrava qualcosa di non utile oggi. Poi l’altro ieri ho rivisto l’inizio e sono rimasto sorpreso: ho pensato che idea curiosa. Ho avuto una sorta di immodesta ammirazione di me stesso. E mi è sembrata una formula ancora ripetibile”.

Era il 1995 quando Tornatore girò un’opera unica nel suo genere: un’antologia cinematografica con cui raccontava la Sicilia.

“Sono passati tanti anni da quando feci quel documentario- racconta -. L’idea non fu quella di cercare di dare un’immagine della Sicilia. Non sono partito da un obiettivo e da un concetto prestabilito. Mi sono lasciato prendere per mano da questo materiale sconfinato. Io volevo trovare un modo per organizzare in forma di alfabeto l’immagine trasversale, con film che non raccontavano storie prettamente siciliane, ma che avessero dei piccoli elementi narrativi attinenti alla mia terra. Volevo vedere che tipo di Sicilia veniva fuori da questa montagna di film. Un alfabeto che oggi è addirittura incompleto”. Tant’è che vi aggiungerebbe un altro capitolo intitolato: Giovani.

Importantissimo nel film è il montaggio. “Non ho scritto una sceneggiatura. Ci sono tanti elementi lasciati nella libertà di contaminazione e di trovare dei sensi e dei significati non prestabiliti. È stato un lavoro di grande ricerca e poi di grande messa a punto del montaggio. Il montaggio è stata la chiave perfetta per mettere insieme tutti gli elementi e trasformarli in un’ulteriore narrazione”.

Tante le immagini che vengono in mente quando si parla di Sicilia. “C’è sempre qualcuno che urla in modo sguaiato, poi c’è il personaggio del doppiogiochista, c’è il rapporto con la natura. Mi sono trovato di fronte ad elementi che naturalmente si attraevano tra di loro e non ho fatto altro che seguirli. L’elenco delle parole chiave che cadenzano il film non le ho prestabilite, ma le ho messe a punto dopo aver visionato e scomposto quegli elementi narrativi che ricorrevano. Il film ipotetico e ideale sulla Sicilia si basava su quegli elementi ricorrenti che possiamo anche chiamare stereotipi e luoghi comuni”.

Non solo il montaggio di Lorenzo Quaglia, ma anche le musiche di Egisto Macchi ed Ennio Morricone hanno la loro importanza. Cosa ti manca di Ennio? “Mi manca la frequentazione, il sentirci spesso, la profondità della nostra amicizia, anche se tutto questo tempo io non ho fatto altro che lavorare a un film su di lui e quindi in qualche modo sono sempre rimasto in sua compagnia quotidianamente”.

Dopo tanto consumo audiovisivo domestico con Taormina Film Fest si è tornati ad un’esperienza cinematografica in presenza. “Vedere film al cinema insieme ad altri è un’esperienza completamente diversa- commenta-. Lo spettatore un tempo era abituato ad entrare al cinema a spettacolo iniziato e ad aveva una capacità intuitiva superiore allo spettatore di oggi. Anche Monicelli diceva che gli spettatori di una volta erano più intelligenti perché entravano a metà film e dovevano indovinare e capire cosa era accaduto prima. C’era un rapporto di grande interattività. Questa idea di frantumare i film e mostrarli in questo disordine organizzato ha un’efficacia solo se lo spettatore ha ancora quella capacità di vedere le storie e rimontarle in base alla propria sensibilità, intelligenza e capacità intuitiva”. E poi ricordando la sala cinematografica di una volta racconta: “Era un luogo di baldoria. Non seguivi il film con quiete perché c’era una vita parallela che si intrecciava al film. Le copie cinematografiche erano quasi sempre rovinate e quindi il concetto di frammentazione era già insito. La proiezione saltava in aria continuamente e il vedere un film equivaleva anche ad immaginarlo. Questo un po’ si è perduto. Non voglio fare il nostalgico. Amo le proiezioni perfette di oggi. Però quella ricchezza in più di quel mondo la ritrovo solo quando vedo un film in una sala particolarmente affollata come lo possono essere quelle di oggi”.

Lo schermo a tre punte è stato presentato dalla Sicilia Film Commission, che ha finanziato la digitalizzazione del film di cui esisteva copia solo in 35mm.  Infine conclude: “Sono grato che mi è stata data la possibilità di riconfrontarmi con un me stesso di venticinque anni fa”.