“Ridare voce ad un mondo per lo più scomparso vuol dire non far scomparire una cultura che affonda le proprie radici nella storia. Si pescava il tonno ben prima di Cristo e tutto quel sapere empirico non è andato perduto, anche se da qualche anno le tonnare non pescano più. Gli ultimi tonnaroti sono stati portatori di questa cultura antica che oggi però purtroppo si sta perdendo e un’operazione così serve a tenere viva la memoria di un bene immateriale”.

A parlare è Ninni Ravazza, giornalista e scrittore con un passato da corallaro, che ha vissuto 20 stagioni di pesca nella tonnara di Bonagia, come sub. Autore del libro Diario di tonnara e voce narrante nell’omonimo documentario diretto da Giovanni Zoppeddu, oggi alla XIII Festa del Cinema di Roma.

Prodotto da Istituto Luce Cinecittà (che lo distribuirà anche nelle sale), Diario di tonnara è un tuffo tra memoria e presente che porta in superficie le comunità dei pescatori di tonno, divise tra pragmatismo del lavoro e tensione al sacro, un inno alla fatica del vivere, ma anche alla naturale propensione di una comunità alla tradizione e al rito. Rais, tonnare e tonnaroti rappresentano il centro da cui si dipanano i racconti di un tempo passato che grazie al potere del cinema riemerge magicamente dall’oblio.

“Durante un viaggio di lavoro, alcuni anni fa, sono arrivato nel borgo di Bonagia. Notai subito il grande edificio sul porto, dinnanzi al quale erano adagiate alcune barche usurate dal tempo e dalle intemperie. I primi indizi mi raccontavano che quella tonnara aveva perso la sua originaria funzione, diventando un albergo”, racconta il regista, Giovanni Zoppeddu, che prosegue: “Mi ritrovai a leggere tante testimonianze, racconti e leggende, tra cui anche il diario di Ninni Ravazza. Mi si spalancò davanti un mondo a tinte quasi mitologiche, popolato da eroi e dalle tradizioni millenarie che questi pescatori - nella loro semplice ricerca di sostentamento - portavano avanti di padre in figlio. Com’era possibile che tutto questo fosse scomparso? Come poteva un modello millenario scomparire così, nel silenzio, accecato dal mondo industriale?”.

E come è stato possibile riportare a galla, sullo schermo, tutto questo?

“Alle suggestioni del libro si sono aggiunte le splendide immagini dell’Archivio Luce – racconta ancora il regista –. Con il repertorio abbiamo fatto prima un lavoro di ricerca molto importante, insieme a Luca Onorati (il responsabile del montaggio, ndr). Abbiamo trovato documentari anonimi e grandi autori come De Seta, Quilici, Alliata. Utilizzare il loro lavoro un po’ mi intimidiva, ma poi quando il documentario ha iniziato ad avere le parti oniriche, mitologiche, abbiamo pensato fosse giusto attingere anche da loro proprio per la profondità delle loro immagini. Rispettarli e non porsi sul loro livello è stato l’unico modo per poterlo fare”.

Giovanni Zoppeddu

Materiale di repertorio che ci riporta alla Sicilia degli anni passati, contrapposto alle immagini del presente catturate invece in Sardegna:

“Sicilia e Sardegna sono due isole diverse, accomunate però dalla tonnara. La Sardegna è stata fondamentale nel racconto, perché in Sicilia non esistono più le tonnare. Ne resistono un paio in Sardegna, a Carloforte ad esempio, dove un rais mantiene ancora le tradizioni, portando anche i giovani con lui. In Sardegna ancora ci credono, per alcuni anni forse durerà, non si fa più la mattanza, c’è un altro sistema tecnologico. A Carloforte abbiamo però ritrovato la scaramanzia, la religiosità, il vivere assecondando i tempi naturali e soprattutto il senso di comunità”, dice Zoppeddu.