Alessandro Angelini è un regista italiano poco italiano. Nel senso che il suo El Barrilete, L'Aquilone, in concorso al Torino Film Festival, è l'ulteriore prova di cosa si potrebbe realizzare se il cinema italiano (i suoi autori) provassero a rivolgere il proprio sguardo al di fuori di se stessi. La storia di Enrique e del suo viaggio alla ricerca del fratello a Managua è raccontata con uno stile documentaristico sobrio ed efficace. Senza indulgere mai al facile sentimentalismo, sempre in agguato quando si parla di bambini, Angelini descrive l'infanzia negata dei piccoli abitanti della capitale del Nicaragua. Il quattordicenne Enrique tenta di lasciare la disperazione della sua vita di cercatore d'oro per scoprire che la città non può offrirgli niente, se non la solidarietà di altri bambini che, senza alcuna prospettiva, vivono di espedienti in balia di pericoli e di sfruttatori. "Ci sono storie che non vengono mai raccontate", afferma il regista, ed è anche per questo motivo che in più di un momento il suo film ci ricorda uno degli episodi più riusciti di All the Invisible Children e, anche se in maiera molto più edulcorata, il bellissimo Workingman's Death di Michael Glawogger, anch'esso presente all'ultima edizione della Mostra di Venezia. L'eclettico Jan Cvitkovic, che forse lascerà la regia perchè ha in mente di "scrivere poesie e scolpirle sulla pietra", ha regalato al Festival una delle pellicole più belle viste finora. Odgrobadogroba (Gravehopping) è un piccolo grande film, soprattutto se si tiene conto che Cvitkovic è appena alla sua seconda prova. Ma è evidente che possieda già una cifra stilistica molto precisa, che è rintracciabile nel suo modo di raccontare senza nessun atteggiamento critico, perchè, egli afferma, "le cose esistono, sono complete in sè". Già premiato nel 2001 a Venezia per il suo Bread and Milk, considertato la migliore opera prima, il regista sloveno ci racconta di Pero, un oratore funebre professionista che si guadagna da vivere commemorando i defunti del suo paese. Intorno a lui la sua famiglia e i suoi amici, il padre depresso per la sepoltura della moglie e l'amico del cuore e quasi collega, becchino del paese. Partendo da uno stile che è quasi da commedia il film raggiunge dei toni che spiazzano lo spettatore che si trova ad inciampare in situazioni violente, a volte terribili. Ma, e questa è l'abilità di Cvitkovic, si ha sempre la sensazione che tutto sia ineluttabile nella sua naturalezza, legato com'è al procedere delle esistenza dei protagonisti. Memorabile il finale, con la morte del grande amico di Pero insieme alla sua auto, una bellissima Fiat "600". Ma questa volta non uscirà dalla bocca dell'oratore nemmeno una parola: il dolore, quello vero, è solo silenzio.