“Tutte le donne registe si comportano bene, basti pensare a Chloé Zhao che ha vinto a Venezia e poi l’Oscar. Se le si dà una possibilità non c'è niente che fermi una donna, ma le statistiche non sono a nostro favore. Non ci sono abbastanza voci di donna nella narrazione”. Dodici anni dopo Bright Star, la regista neozelandese Jane Campion firma un lungometraggio: targato Netflix, The Power of the Dog è in Concorso a Venezia 78.

Tratto dal romanzo omonimo (1967) di Thomas Savage, interpretato da Benedict Cumberbatch, Kirsten Dunst, Jesse Plemons e Kodi Smit-McPhee, inquadra nel Montana del 1925 l’allevatore Phil Burbank (Cumberbatch), che incute paura e rispetto alle persone attorno a lui: quando il fratello (Plemons) porta a vivere nel ranch di famiglia la nuova moglie (Dunst) e il figlio (Smit-McPhee) di lei, la situazione precipita.

Abituata a portare sullo schermo personaggi prevalentemente femminili, stavolta la Campion si risolve a una schiacciante maggioranza maschile, ma non ne fa un problema: “Sono una persona creativa, non ho calcolato le percentuali di genere. Ho pensato che il libro fosse bellissimo, ha avuto un effetto fortissimo su di me: ho viaggiato nell’ultima parte, è stato emozionante. Non sono riuscita a dimenticarlo, lavora sulla psiche, sicché lentamente ho mosso i primi passi verso la creazione del film. E l'abbiamo fatto”.

In merito al maschilismo tossico del suo personaggio, Cumberbatch dice: “E’ il risultato di come è cresciuto, emerge momento dopo momento: lo capisco, non giudico né condivido, ma lo capisco. Che non abbia redenzione fa parte di quel che è, è la sua tragedia personale: sta sulla difensiva, è solo, oppresso, non ho mai pensato che ci sia autenticità nella sua vita. Il maschilismo tossico lo riconosci, persone danneggiate danneggiano gli altri, anche i politici lo fanno: ognuno deve affrontare i propri problemi, non rinchiudere il mostro e buttare via la chiave”.

Aggiunge la Dunst, “ho creato i miei demoni, la mia Rose rappresenta tutto il dolore che Phil ha dentro”, quindi loda la regista: “C'è in Jane qualcosa di sensuale, nei suoi film. La sensibilità, la profondità del suo lavoro, i suoi personaggi femminili, attrici e performance a cui aspiri”. Di Rose parla la stessa Campion: “Rose mi interessava molto come donna, sicché ho amplificato il ruolo. Una donna del 1925, la mancanza di fiducia, la vergogna trovano l’unica soluzione nell’alcool: Savage ha sviluppato con intelligenza il tema dell’isolamento”.

Viceversa, Cumberbatch torna sul suo Phil: “Un personaggio molto complesso, non è solo il cattivo della storia, ma una figura poetica complessa. Sono felice di tornare a fare parti cattivo, questa è stata un’esperienza immersiva: Jane ti permette di esprimerti con libertà nel perimetro del suo gusto”.

Se – confessa Campion - “trovare il Montana del 1925 sarebbe stato più difficile nel Montana attuale che in Nuova Zelanda”, dove in “uno spazio vuoto, come fossimo in una barca sull’oceano” il film è stato girato, The Power of the Dog beneficia della colonna sonora di Jonny Greenwood, dei Radiohead: “Il suo entusiasmo è travolgente, la sua musica ti porta in alto, come nei momenti indimenticabili della vita”.

Dopo la serie Top of the Lake (2013-2017), “mi è piaciuto lavorare con le serie, mi piace creare mondo e tonalità e svilupparla”, rivela Campion, “Netflix mi ha permesso di scegliere che produzione fare, dunque sono tornata alla mia libertà espressiva nel cinema”.