“Stasera speriamo soprattutto che domani vinca Bersani”. Sono a Malta per gli EFA, gli Oscar Europei, con Cesare deve morire, ma i fratelli Paolo e Vittorio Taviani guardano alle primarie, rinnovando l'endorsement al segretario del PD Pier Luigi Bersani. Questa sera Cesare deve morire, già Orso d'Oro a Berlino e candidato italiano nella corsa agli Oscar, potrebbe portare a casa dalla 25esima edizione degli European Film Awards tre riconoscimenti: miglior film, regia e montaggio (Roberto Perpignani).
Nel frattempo, i Taviani ripercorrono la loro recente tournèe americana, partita dal festival di New York:“E' imbarazzante dirlo, ma l'accoglienza è stata entusiastica: il Lincoln Center pieno per due sere consecutive, una reazione del pubblico addirittura migliore di quella che ci riservarono per Padre padrone”. Seconda tappa, Denver, dove in seguito alla strage alla prima di Batman ad Aurora il tenore delle domande è stato diverso: “Ci chiedevano se non avevamo avuto paura a girare in carcere, se i detenuti litigavano tra di loro, se avevamo fatto amicizia con qualcuno di loro. La nostra pietà è riservata alle vittime dei loro reati, rispondevamo, ma è vera anche la passione con cui questi uomini recitano le battute: in quelle ore, in quei minuti, non sono più gli stessi di quando erano entrati in carcere”. Terza e ultima tappa del viaggio americano, con un occhio agli Academy Awards, Los Angeles: “Nei film americani, ci hanno detto, si racconta sempre chi fugge dal carcere e trova la libertà fuori, viceversa, in Cesare deve morire si trova la libertà dentro il carcere, attraverso lo strumento della cultura o, meglio, dell'arte. E' vero,  noi abbiamo affidato ai detenuti una storia, quella di Bruto e Cesare, che apparteneva al loro passato, e per loro è stato liberatorio non nascondere, buttare fuori con l'arte quell'istinto terribile che porta l'uomo a uccidere un altro uomo. Noi continuiamo a  vivere questa contraddizione dentro di noi: amiamo questi detenuti e insieme li odiamo per la loro ex appartenenza alla mafia, e non sappiamo se scioglieremo mai questo nodo”.
Girando per gli States, dove Cesare deve morire uscirà ai primi di febbraio, e in mezza Europa, i Taviani hanno sentito anche l'emozione degli spettatori: “Al di là del giudizio bello e brutto, c'è qualcosa che arriva, forse perché Cesare deve morire ci restituisce tre tragedie: quella di Bruto e Cesare, quella personale dei detenuti e la memoria di tante tragedie che le mura e le sbarre di Rebibbia conservano”.
Viceversa, dal loro osservatorio privilegiato qual è il polso del cinema italiano? “Giovani registi come Munzi e Giovannesi, attori come Mastandrea e Servillo sono molto rispettati all'estero: nonostante le tante difficoltà, non si è spenta la voce del nostro cinema fuori d'Italia. E anche quando, come nel nostro caso, ci si sente dire che un film non fa una lira, bisognerebbe riparlarne tra 20 anni: alla fine un film poverino può aver incassato più di un blockbuster”.
 Tra festival e promozione i Taviani non hanno avuto tempo per pensare al prossimo film - “Il talento è lavoro, applicazione giornaliera a tavolino: se poi arriva la bella idea, è un regalo degli dei – ma su Cesare deve morire non mancano riflessioni e aneddoti: “Tra sovraffollamento e suicidi, i carceri italiani sono tra i peggiori d'Europa, eppure ce ne sono ben 20 in cui si fa teatro: perché siamo pagliacci, lo spettacolo fa parte della nostra natura”; “Il Marc'Antonio di Marlon Brando per Mankiewicz (Giulio Cesare, 1953) è meraviglioso, ma forse per malignità in Inghilterra ci hanno detto che i nostri attori sono meglio. E comunque gli inglesi, scespiriani doc, hanno amato tanto il film. Ce lo hanno ripetuto anche qui a Malta: mai come stavolta è uscita l'anima di Shakespeare, perché si entra ed esce dalla storia del film con la stessa naturalezza, semplicità e armonia di Shakespeare”.
 Infine, uno sguardo dei Taviani ai concorrenti di Cesare deve morire agli EFA e all'Oscar per il miglior film straniero: “Abbiamo visto Amour di Michael Haneke e ci ha colpito nel profondo, perché ha messo in scena un tempo reale del racconto di sapore documentaristico attraverso il filtro della classicità assoluta: campo medio, camera fissa. Per certi versi Amour è simile a Cesare deve morire, perché il vissuto dei due vecchi protagonisti è tangibile come quello dei nostri detenuti. E trova nel pubblico la stessa emozione”.