Thatcher o non Thatcher, questo rimane il dilemma. Il cinema l'ha cantata – meglio, gliele ha cantate – in lungo e in largo, ma ora che se n'è andata soffermiamoci sull'ultimo “film thatcheriano”, il biopic The Iron Lady, diretto dalla non esaltante Phyllida “Mamma mia!” Lloyd nel 2011 e vincitore l'anno dopo di due Oscar con la miglior attrice protagonista (Meryl Streep) e il trucco.
Ebbene, Mrs. Lloyd ha preso un'icona riconoscibile worldwide e ne ha fatto un film, senza buttare lì una sola ombra – eppure la Signora di Ferro si prestava come poche – e senza smuovere di una virgola i confini dell'universo Thatcher così come lo conoscevamo, anzi. Aggravante, davanti alla macchina da presa c'era quel che sarebbe appunto diventata la tre volte premio Oscar Meryl Streep: interprete rara per metamorfismo e isomorfismo, meno eccelsa nella scelta dei ruoli. Ma questa è un'altra storia, comunque infinitamente più gloriosa.
Sceneggiatura di Abi Morgan, The Iron Lady fa ping-pong tra il presente di Margaret, rinchiusa tra quattro mura con il fantasma del marito (Jim Broadbent, quello di Another Year) che aleggia e la demenza senile che sguazza tra allucinazioni, reflussi memoriali e il passato che non passa. Già, il passato. Affidato a flashback soggettivi e materiali d'archivio, passa in rassegna, meglio, affastella tagli economici, lotte sociali, guerra delle Falkland/Malvinas, ultraliberismo, caduta del Muro, beghe di partito e varie ed eventuali del regno Thatcher – so far unica primo ministro del Regno Unito – senza mai commentarli. Che, attenzione, non vuol dire necessariamente giudicare, bensì sapere dove mettere la camera da presa, da dove guardare, sotto che punto di vista. Ebbene, questo benedetto punto non c'è: The Iron Lady è puro e piatto racconto di superficie, memoriale epidermico, che assembla punk e Casta Diva, tenerezze private e pubbliche reprimende senza colpo ferire.
Non c'è sangue, non ci sono lacrime, né piovono pietre, per dirla alla Loach: è il ritratto sbiadito, assolutorio e  consolatorio di quella che sul piano socio-economico fu – almeno, a detta di molti - una Signora Omicidi e che qui si ritrova tra merletti, the delle 5 e abiti sotto il ginocchio come una dolce vecchietta qualsiasi. Ancor più grave, i nostri tempi economicamente bui avrebbero colto al balzo la palla di “quella crisi/questa crisi”, invece, bisogna accontentarsi di qualche romanzata seduta in Gabinetto e - desunte dai materiali di repertorio - sgroppate a cavallo della polizia a falciare i manifestanti, auto in fiamme e guerriglia urbana. Che tristezza, e che spreco – vedi Streep – di risorse, ma c'è di più.
Per dirla con Fritz Lang, questa Thatcher donna del ritratto è un simulacro, ovvero una copia di un originale mai esistito e, dunque, assolto con formula piena e (Alzheimer) immemore: colpe e responsabilità agite nelle res pubblica britannica e mondiale vengono emendate nel ricorso all'intimità indifesa, spicciola e piccolo borghese della Thatcher privata e – passateci il termine – rincoglionita.
Siamo sicuri che Margaret un giudizio, positivo o negativo che fosse, l'avrebbe voluto. Anzi, l'avrebbe preteso. Invece no, grazie a Mrs. Lloyd, tocca accontentarsi di The Flatiron Lady, la signora del ferro da stiro.