L'uscita di scena di Matt Damon dalla saga deve aver complicato, e non poco, i piani di Frank Marshall e Patrick Crowley, produttori storici della trilogia di Bourne. Si poteva mantenere il personaggio sostituendo l'attore che gli aveva dato un volto in tutti questi anni? Uno che era diventato un beniamino dei fan e un veicolo di forte fidelizzazione alla franchise? No, non si poteva. Jason Bourne non è James Bond, questo sì un'icona capace di sopravvivere ai suoi interpreti. Bourne non è né cool né glamour, non è un pezzo d'immaginario, non è un gadget. La caratteristica, sua e dei racconti di cui è protagonista (tratti dalla serie letteraria di Ludlum), è la vocazione al realismo. Perciò Jason Bourne non è neppure assimilabile alla categoria degli eroi. Ha qualità eccezionali, pacifico. Ma possiede una fallibilità e una ambivalenza morale squisitamente umana. Le sue imprese non sono taroccate col digitale. Sono arditissimi stunt e frutto di una preparazione fisica lunga e massacrante. Bourne è un personaggio-persona. Uno che potremmo realmente conoscere là fuori. Con una sua fisionomia e il proprio orizzonte di emozioni e i personalissimi tic. Non si poteva ricominciare senza Matt Damon. Si poteva però ripartire lasciando Jason Bourne sullo sfondo. Rendere fruttuosa la sua assenza. Una presenza fantasmatica sulla quale costruire nuove trame e cospirazioni. E inediti personaggi.
Bisognava però coinvolgere nel processo di scrittura chi aveva firmato tutte le sceneggiature dei precedenti episodi. Uno che conoscesse bene il mondo di Bourne, le sue implicazioni, i tratti distintivi. Quel qualcuno era Tony Gilroy, e guarda caso Tony Gilroy era anche un regista (Michael Clayton, Duplicity). Allora perché non affidargli tutto? "E' stata una sorpresa anche per me - confessa Gilroy -. Bourne era uscito da tempo dal mio radar". Avvalendosi del contributo alla scrittura del fratello Dan e dell'impagabile esperienza di Dan Bradley, regista della seconda unità di tutta la saga ("il Michelangelo delle scene d'azione", lo definisce Gilroy), Tony mette insieme un universo narrativo più ampio, che include quello precedente come un cerchio concentrico. L'azione di The Bourne Legacy (dal 14 settembre in Italia con Universal) è contemporanea a quella di Ultimatum: "Tutto si svolge nel 2007, parallelamente alle vicende dell'ultimo film - svela Gilroy -. L'azione diventa decisamente "pubblica" alla fine di The Bourne Ultimatum. C'è una sparatoria a Waterloo Station ed un inseguimento in auto a New York City, Ultimatum è visibile sullo sfondo dei primi 15-20 minuti di questo film". Dopo questo collegamento iniziale, la storia si espande: "Scopriamo che Treadstone era solo uno dei programmi segreti implementati dal governo americano - racconta Gilroy -. Ne esistevano altri, più complessi. Outcome, da cui è venuto fuori il personaggio di Aaron Cross, è tra questi. E' leggermente diverso da Treadstone, forse più evoluto. Anche se il burattinaio che muove i fili è lo stesso".
Facciamo un po' di ordine: Aaron Cross è il nuovo protagonista della saga. E' un ex militare che si è volontariamente sottoposto a un programma segreto dell'esercito. Obiettivo: diventare un super-soldato. Lo interpreta Jeremy Renner, nuova icona dell'action hollywoodiano (The Bourne Legacy arriva poco dopo Mission Impossibile 4 e The Avengers). Jeremy ci tiene a sottolineare che il suo personaggio non sostituisce quello di Damon (anzi, c'è chi tra i produttori, sogna già di vederli fianco a fianco nel quinto Bourne della serie), ed ha caratteristiche diverse da quest'ultimo: "La missione di Jason Bourne - sintetizza Renner - era scoprire chi fosse e perché agisse così. Aaron Cross invece sa perfettamente chi è, ha scelto volontariamente di fare quello che ha fatto e non lo rinnega. Semplicemente è stato tradito da coloro i quali era stato addestrato". L'esercito, il governo, Edward Norton: il burattinaio. Norton è la seconda new entry di The Bourne Legacy, ma il suo personaggio è come se ci fosse sempre stato: lui è il colonnello Ric Byer, il capo della NRAG, l'organizzazione che sostiene il programma segreto inizialmente chiamato Treadstone, poi Blackbriar e quindi Outcome: "Volevo assolutamente lavorare con Tony Gilory - spiega Norton -. Il suo lavoro mi piace e Michael Clayton è un film che adoro. Il pregio del suo cinema è la capacità di delineare caratteri contraddittori: non ci sono buoni o cattivi, ma individui che agiscono obbedendo a dei principi, per difendere i quali sono disposti a tutto, anche a commettere il male. Lo trovo un approccio molto verosimile. Il mondo di Bourne è molto simile al nostro".
Tra le novità del quarto Bourne c'è anche la presenza di una protagonista femminile, Rachel Weisz. Interpreta Marta Shearing, una scienziata che ha collaborato al programma Outcome, facendo esperimenti sui pazienti. Quando la segretezza del progetto viene messa a rischio da Jason Bourne e il governo decide d'insabbiare tutto, lei è tra quelli destinati a "sparire". Fortuna sua che c'è Jeremy Renner che ha ancora bisogno che rimanga viva. I due hanno condiviso molti momenti adrenalinici sul set: "Quando correvamo per le strade affollate di Manila in sella a una moto - ricorda Renner - temevo per la sua incolumità. Sono scene che mi diverte girare personalmente (il 90% delle sequenze d'azione Renner le ha fatte senza controfigura, ndr), ma se hai qualcuno sotto la tua responsabilità, l'apprensione è alta".
Fanno il loro ingresso nella saga anche Stacy Keach e Oscar Isaac. Tornano invece Albert Finney (è Albert Hirsch, l'ideatore del programma originale), Joan Allen (è Pamela Landy, l'investigatore della CIA decisa a scoprire la verità), David Strathairn (Noah Vosen, capo del programma segreto Blackbriar) e Scott Glenn (è Ezra Kramer, direttore della CIA).