“Partì dalla Firenze di Dante, fu giornalista mitteleuropeo per Der Spiegel e L'Espresso e comunista all'italiana, tra Berlinguer e il compromesso storico, e fu aperto al Buddismo, pur senza diventarlo: aveva curiosità e rispetto per l'altro. Fino alla lotta, anzi il confronto, con la morte”. Era questo Terzano Terzani nella parole di Bruno Ganz, che gli dà anima e corpo ne La fine è il mio inizio, tratto dall'omonimo bestseller dello scomparso scrittore (Longanesi), diretto dal tedesco Jo Baier, co-prodotto da RaiCinema e dal 1° aprile nelle nostre sale con Fandango (60 copie), dopo i 230mila spettatori registrati in Germania.
Un lungo monologo sulla morte attraverso il dialogo con il figlio Folco, interpretato da Elio Germano, mentre la figlia Saskia ha il volto di Andrea Osvart, che occupò gli ultimi giorni di Terzani nella casa di famiglia in Orsigna (Toscana): “Mio padre era un pellegrino - dice Folco - pagato per andare in giro per il mondo a vedere e scrivere, dalla guerra in Vietnam all'ingegneria sociale in Cina. Per modello non aveva giornalisti, ma gli esploratori, una dimensione più etica: il suo non era solo lavoro, ma un modo di vivere”.
“La presenza di Folco - dice Germano - non è stata ingombrante: un compagno di viaggio. Da attore, ho avuto il privilegio di accostarmi a discorsi più grandi di noi, per restituirli quale problematica aperta, senza soluzioni. Il film mi ha preso per mano”.
Ma che padre è stato Tiziano Terzani? “Le cose difficili ti insegnano più di quelle facili: lui era un rompiscatole, anche davanti al Tg: “Questo è vero, questo falso, questo generale mente”. Il suo era un pacifismo incazzato, non beato: era una delle persone più interessanti che conoscessi, al di là che fosse mio padre”. Non solo, il rapporto padre-figlio era conflittuale: “Ogni 3-4 giorni ci si prendeva, ma vinceva sempre lui: era più alto e più forte. Solo qualche settimana prima che morisse l'ho battuto io, perché ormai era debole: me ne sono pentito, ma lui ne fu felicissimo. Come tra due gorilla: “Ora tocca a te, io vado via”, perché di fronte alla morte siamo nudi”.
Viceversa, la figlia Saskia vede ora, da madre, “cosa è stato essere figlio, le sue lezioni le sto imparando adesso”, mentre la Osvart aggiunge: “Come la morte, anche la commozione fa parte della vita: per una figlia il padre che se ne va è dolore fisico”.
L'ultima parola alla moglie, Angela: “Con lui la sfida era non soccombere, perché nessuno ama una vittima al proprio fianco. Ma non era un gareggiare: si faceva quel che diceva lui, ma io partecipavo al come. Per tutti viene il proprio momento: il mio è adesso”.