Cinematograficamente parlando – e non solo – l'Italia è la seconda patria di Quentin Tarantino, a maggior ragione se il suo film è un western (o ne ha le basi) che echeggia il cinema di Leone e se la bellissima partitura la compone Ennio Morricone. L'incontro di Tarantino con la stampa per The Hateful Eight è avvenuto a Roma, qualche ora prima della grande première a Cinecittà dove il mitico Teatro 5 di Fellini è stato reinventato come sala cinematografica con 888 posti e un proiettore in 70 millimetri per rendere il film nel modo in cui il regista l'ha concepito e girato. E da lì parte Tarantino, che ha parlato ai giornalisti accompagnato da Morricone e dagli attori Kurt Russell e Michael Madsen: “Penso alla mia battaglia per la pellicola, in questo caso per il 70 mm, come alla resistenza degli indiani contro i cowboy: spero che la pellicola resista di più, ma anche se dovesse sparire so che assesterà bei colpi ai cowboy”.

Samuel L. Jackson in The Hateful Eight

Il film è una sorta di dramma da camera ambientato nel Wyoming dopo la guerra civile e vede gli odiosi 8 del titolo chiusi in un emporio, bloccati dalla bufera, ognuno che nasconde qualcosa agli altri: “L'ho pensato come pièce teatrale – dice Tarantino – con un clima di paranoia e un'ambientazione che possono ricordare La cosa di Carpenter. In effetti penso a questo film come alla versione western di Le iene, che a sua volta era molto influenzato dal film di Carpenter”. I generi, le influenze e le citazioni sono gli elementi cardine del cinema di Tarantino che come pochi altri sa reinventare e frullare insieme i più disparati generi, come il dramma da camera e il giallo à la Dieci piccoli indiani: “Siccome so di non poter fare tutti i film che vorrei fare, faccio cinque film contemporaneamente, ottimizzo le mie passioni e anche il pubblico che con un solo biglietto si becca tanti film. La realtà è che ho sempre amato i film che sanno ibridare i generi, in cui il regista spazia con i generi come un giocoliere, e credo di saperlo fare anche io, mi diverte molto. In genere le mie scelte stilistiche o narrative dipendono dal film, a volte pianifico, a volte mi lascio andare, a volte lo capisco solo dopo averlo scritto, che film faccio. In questo caso sono partito dal western e volevo mischiarlo con il giallo stile Agatha Christie; ma al montaggio mi sono reso conto di aver fatto anche un horror”.

Kurt Russell

Il suo cinema violento ha spesso provocato polemiche, anche per la povertà di figure femminili e della fine che fanno (ma ci siamo dimenticati quei film che sono canti d'amore quasi femministi, come Jackie Brown e Kill Bill?), ma in questo caso la questione sessuale non c'entra: “Ho pensato sin da subito una donna come prigioniera, ma non l'ho connotata in chiave femminile: poteva essere anche Big Bill Shelley da 150 chili, non sarebbe cambiato nulla. Ma una donna nel film complica la storia, le emozioni del racconto e soprattutto complica la percezione e le reazioni degli spettatori. E questo mi piace un sacco. Nel film, il personaggio di Jennifer Jason Leigh (candidata all’Oscar) subisce molte violenze non perché donna, ma perché il suo cacciatore di taglie, John Ruth, crede nella giustizia e vuole portarla viva al processo. E l'unico modo è terrorizzarla, picchiarla, sottometterla con la violenza”.

Jennifer Jason Leigh

E partendo da qui Tarantino ha parlato del sostrato politico del suo film, definito – a ragione – il più politico della sua carriera: “E' diventato attuale e politico mentre lo scrivevo, me ne sono accorto con i primi dialoghi perché all'inizio questa connotazione non l'avevo in mente. Solo così mi sono reso conto che ciò che dicevano, i loro discorsi e dibattiti parlavano dell'America di allora e dell'America di oggi e i fatti di cronaca che accadevano durante le riprese amplificavano questi riferimenti alla realtà. Da una parte è fortuna, dall'altra è cercare di capire lo spirito dei nostri tempi”.

E allora, a proposito di politica e razzismo, non poteva mancare un accenno alla polemica “Oscar so white” lanciata da Spike Lee e altri cineasti di colore sulla mancanza di candidature afro-americane (e che coinvolge anche la mancata candidatura di uno sfavillante Samuel L. Jackson): “Mi spiace per Samuel, se la meritava. Sul boicottaggio dico che non andrò alla cerimonia. Ma solo perché non candidato e non mi hanno invitato”. Non fa una grinza.