Compie 90 anni Suso Cecchi D'Amico, la signora del cinema italiano. La grande sceneggiatrice, storica collaboratrice di registi come Vittorio De Sica, Luchino Visconti, Michelangelo Antonioni, Luigi Comencini e Mario Monicelli, festeggia oggi l'importante compleanno. Noi le vogliamo rendere omaggio pubblicando un estratto del libro di Silvio Danese Anni fuggenti - Il romanzo del cinema italiano (editore Bompiani), nel quale è la stessa Cecchi D'Amico a raccontarsi: quando inventò il furto della bicicletta per il film di Vittorio De Sica, la sua amicizia con Anna Magnani e Burt Lancaster, la paura per gli americani e il cinema italiano oggi.

Il furto della bicicletta

L'ho detto sempre, lo sceneggiatore è uno scrittore visivo. Con Guerra, Flaiano, Zavattini si volava per monti e per valli, ma poi si doveva prendere in mano le cose e scrivere, e allora diventava proprio un bel lavoro per me. Forse Zavattini avrebbe lasciato il passo episodico di Ladri di biciclette, a me invece venne in mente l'idea del furto della bicicletta e, devo dire, riscossi dagli altri un grande consenso. Per dire, ancora: tra Fellini e Flaiano c'era sempre Pinelli che stringeva le cose. Questo non significa assolutamente che Pinelli fosse un ammanuense. Il visivo doveva essere scritto. Ladri di biciclette l'abbiamo fatto tutto prima, io, Zavattini e De Sica andando in giro per le strade di Roma. Uscivamo insieme e cercavamo insieme, anche quella donna che "riceveva" nella casa davanti a villa Torlonia, dove c'era la fila per parlare delle disgrazie, cancri e tutto il resto. E anche noi ci mettevamo in fila per capire e vedere. Con Antonioni è stato un po' diverso. Antonioni era una persona molto divertente, spiritoso, al contrario di quello che può apparire dai suoi film. Se penso che con La signora senza camelie credevo di aver scritto una commedia, e poi quando ho visto il film' Le amiche ha però una vivacità che è di Antonioni, non bisogna assolutamente pensare che Michelangelo fosse un mattone. La versione inglese dei Vinti è bellissima, quello è un film che abbiamo realizzato proprio come Ladri di biciclette, andando in giro a cercare le storie, le persone, coi nomi veri, divertendoci come pazzi.

Spaventati dagli americani

Non ho mai avuto una frequentazione stabile con gli attori. Non so, Sordi, Gassman. I miei grandi amici sono stati soltanto tre, tra gli attori: Mastroianni, la Magnani e Lancaster. Perché venivano sempre al mare, a Castiglioncello. L'amicizia con la Magnani era in alternativa a quella di Rossellini. Quando si mise con la Bergman non ho più potuto frequentare Rossellini. E comunque non è vero quello che si racconta dei due nel film di Lizzani e Pirro Celluloide. Io conoscevo bene la storia dalla parte della Magnani. Questo punto di vista manca. Anni prima mi ero data da fare per lui, ai tempi di Roma città aperta. Ci eravamo mossi un po' tutti per cercargli la pellicola, ma ancora non lo conoscevo personalmente. Poi, dopo la morte della Magnani, quand'eravamo già un po' anziani abbiamo ripreso i rapporti. Ce l'ho avuto per casa fino alla fine. Per molti anni sono stata vicesegretaria dell'associazione degli autori e quando c'erano gli incontri con i ministri o le manifestazioni in difesa del cinema italiano, gettavamo là questi grandi nomi, come Rossellini o De Sica, perché avevano già avuto successo. C'era tutto da fare, ed eravamo spaventati, molto spaventati, per quello che stavano facendo gli americani, con tutti quei film che avevano sparato sul mercato italiano. Già ai tempi, gli americani erano uomini d'affari formidabili, ma anche implacabili. Visto da oggi, è una cosa spaventosa quello che hanno fatto gli americani. Tutta l'Europa, salvo gli inglesi che si sono un po' salvati per la lingua, è stata colonizzata da una cultura cinematografica esterna, perdendo spazio, perdendo forza di creatività e di autonomia. Il pubblico italiano era un pubblico formidabile, avido di cinema. E gli americani lo sapevano benissimo.

Le ambizioni sbagliate

Forse l'ho già detto, ma io sono felice di aver lavorato con tutti loro. Mi ha permesso di affrontare con serenità i momenti difficili della mia vita, le delusioni, anche le delusioni della storia, la fiducia che avevamo. Ma non c'è modo di spiegare come fosse divertente stare con Flaiano, lavorare, vivere con lui (ci fu anche una storia d'amore dopo dieci anni che scrivevamo insieme, rimasta lì dopo una sua dichiarazione, e non sapevamo neanche che cosa fare), o con Pietro Germi, tutti i suoi umori, i suoi ideali, e De Sica, pieno di pasticci, moglie, amanti, gioco. So per certo di aver lavorato con talenti, uomini e donne, che non sono stati sostituiti. Né l'avremmo immaginato, a quel tempo, che erano unici. Credo che le 'ambizioni sbagliate' hanno bloccato il ricambio di quella generazione. Anche i migliori, voglio dire' Bertolucci, è un sottoprodotto di Visconti, no? Pasolini, si stacca da tutti. Gran dilettante. Bellocchio, molto interessante. Ma per me non vale Germi. E se vogliamo arrivare a Verdone, Troisi, ma insomma' Nessuno vale De Sica. Però Moretti è l'unico che ha parlato di sé e della sua generazione, ha raccontato un'epoca. Questo è importante. La commedia italiana ha parlato della gente e dell'epoca in cui veniva prodotta. Oggi posso dire che la commedia italiana riflette veramente quel tempo, le persone, i rapporti, i costumi di una società. La nostra generazione, invece, è rimasta fuori dagli avvenimenti terribili di fine anni Settanta, non li abbiamo capiti, credo, e non li abbiamo saputi raccontare, poi. E neanche i giovani, se è per questo. Fu un grande momento di rottura. Noi siamo rimasti fuori, a quel punto. E non siamo più riusciti a rientrare. Forse ha ragione Furio Scarpelli: non è vero che gli anni scappano, siamo noi che scappiamo agli anni.

Per gentile concessione di Silvio Danese