Final Portrait di Stanley Tucci, presentato fuori concorso alla prima giornata di Berlinale, racconta la fase finale della tumultuosa vita dell’artista svizzero Alberto Giacometti. Lo script di Tucci è un adattamento dalle memorie A Giacometti Portrait, dello scrittore americano James Lord, che ha accompagnato Giacometti in un ultimo intenso soggiorno a Parigi nel 1964. Tucci rivela di amare Giacometti da sempre. Il libro, però, lo ha convinto della fattibilità del progetto. "Per me è un meraviglioso libro di memorie che affronta il tema del processo creativo, non solo una biografia di un artista celebre", spiega l’attore e regista americano (Amabili resti, Il diavolo veste Prada, Il caso Spotlight).

"Un libro fondamentale, non solo per un artista, o per gli amanti dell’arte". Ci sono paralleli tra la sua vita e quella di Giacometti? "Il mio temperamento e stile di vita sono molto diversi", assicura. "Intanto mi faccio la doccia e cambio gli abiti ogni giorno. Ma chiunque sia creativo, non potrà non ritrovarsi in alcuni elementi della personalità di Giacometti". Quali? "La pervicacia ostinazione a voler rompere il muro che si erge nelle vicinanze dell’atto creativo".

A differenza delle pellicole che ha girato precedentemente quali Gli imbroglioni e Il segreto di Joe Gould, Tucci qui ha deciso di non comparire. Perché? "Intanto perché Geoffrey Rush è perfetto e riempie la storia. Ma volevo concentrarmi completamente sulla regia. In Final Portrait recitare sarebbe stata una distrazione. Avevo bisogno di guardarla dall’esterno".  Giacometti non era un uomo amabile. Poteva essere assai crudele, per esempio nei confronti della moglie intenzionata a vivere una vita assolutamente borghese. "Il punto è che Giacometti in primo luogo non avrebbe mai voluto sposarsi. E questa scelta lo ha continuato a torturare tutta la vita". In pubblico, al contrario, Giacometti era una personalità affascinante. "Era incredibilmente charmant, affabile e divertente. Amava la compagnia di amici e la vita sociale. Cantava nei bar. Ma quando si trattava della sua arte la sua personalità subiva modifiche profonde, intense, diventava seria, oscura. Geoffrey è magnifico nel rappresentare questo cambiamento di stati".

Leggendaria è l’ironia dello scultore, inguaribilmente dark. Forse per questo diventò molto amico di Samuel Beckett. "C’era un tono  sarcastico che li univa nel loro lavoro e nella loro ironia". Giacometti più volte distrusse il ritratto che stava facendo di Lord, interpretato dall’ottimo Armie Hammer. Cosa stava cercando secondo lei? "Non credo che lo sapremo mai. Ma posso capirne i motivi profondi. Quella sensazione di non aver mai finito, di non riuscire a finire qualcosa, quando sei nel pieno del processo creativo. La sensazione, o la convinzione, che il tuo lavoro potrà sempre essere migliore, o diverso".