“Non credo nei biopic: troppo spesso risultano solo una sequenza di fatti senz’anima. Non si può condensare la vita di un grande artista in due ore scarse. È più interessante concentrare l’attenzione solo su un episodio o su un arco temporale di pochi giorni. L’essenza la si trova nei piccoli gesti, negli attimi, che durano anche secondi o pochi minuti. La storia si svolge in poco più di due settimane. Il valore universale di un racconto passa attraverso il qui ed ora”. Così Stanley Tucci presenta Final Portrait – L’arte di essere amici, che uscirà nelle sale italiane giovedì 8 febbraio distribuito da Bim Distribuzione.

Il film narra di una grande amicizia, quella tra James Lord, scrittore americano e appassionato d’arte, e il pittore e scultore svizzero Alberto Giacometti. Siamo nel 1964, a Parigi, e Giacometti propone a Lord di posare per un ritratto: un impegno di pochi giorni, quelli necessari per fare un semplice schizzo. Viene così travolto dalla creatività dell’artista, fatta di sedute di posa cortissime o interminabili, disegni cancellati e ricominciati, ansie, lunghi giri in auto e pause al bar, che costringono James Lord a rinviare il suo rientro negli Stati Uniti. Intanto prende appunti e scatta foto. A fare da contorno gli affetti familiari, il fratello Diego, la moglie Annette e le discussioni per il turbolento rapporto di Giacometti con l’amante.

“Lui era inclassificabile, non lo si può imprigionare in una corrente artistica. Rifiutava ogni regola e faceva fatica anche a convivere con se stesso. Aveva uno sguardo personale, classico e al tempo stesso moderno. Il grande talento di Giacometti lo stiamo riscoprendo solo negli ultimi tempi”, spiega Tucci, questa volta regista e non attore. “Ho pensato di interpretare Giacometti, ma è uno sforzo enorme quello di dirigersi. E l’attenzione si divide, rischiando di non far bene né l’uno né l’altro”.

L’arte è sempre stata molto presente nella vita di Tucci: “Mio padre insegnava e mi portava nei musei, cercando di trasferirmi la sua enorme cultura. Lui dipingeva e amavo guardarlo lavorare, cercavo di imparare e allo stesso tempo di aprirmi nuovi orizzonti. Abbiamo vissuto un anno a Firenze, quando avevo dodici anni, e lui studiava all'Accademia disegno figurativo e scultura. Io e mia sorella eravamo usati come modelli. I suoi insegnamenti mi accompagnano ancora oggi, hanno formato il mio gusto estetico. Il disegno scorre nelle mie vene”.

Nei panni di Giacometti troviamo un istrionico Geoffrey Rush. “Ha avuto due anni di tempo per calarsi nel personaggio, mentre noi organizzavamo il film. Si è immerso in un lavoro di ricerca enorme. Per lui è stato difficile padroneggiare il pennello e lasciarsi invadere dagli eccessi di rabbia di Giacometti. Geoffrey ha una spontaneità innata e spesso continuavo a riprendere anche al termine del ciak, per lasciarmi stupire”.

Final Portrait – L’arte di essere amici è il quinto film da regista per Stanley Tucci. “Per finanziare una produzione indipendente come questa servono i soldi, quindi recito nei blockbuster hollywoodiani. Ovunque si impara sempre qualcosa di nuovo, e poi mi diverto moltissimo. Ho anche un mutuo da pagare e cinque figli da mantenere: cerco di cogliere al volo ogni opportunità”.