Grazie al ventitreesimo Torino Film Festival è stato possibile (e lo sarà ancora fino a sabato) recuperare tutti i debiti arretrati contratti con Walter Hill. Quello de I Guerrieri della Notte (qui in versione director's cut), di 48 Ore, di Geronimo, ma anche di pellicole praticamente mai viste distribuite nemmeno in VHS. Per esempio Undisputed, datato 2002, è stata l'occasione per seguire la versione edulcorata e finzionale, della questione Mike Tyson versus il resto del mondo. Ving Rhames è Iceman Chambers in prigione per stupro, Monroe Hutchens (Wesley Snipes) è un ergastolano che nella stessa prigione ha combattuto da boxeur e per ben 68 volte non è mai stato sconfitto. Peter Falk, in galera per mafia, biascica continuamente la parolaccia tipica degli States e organizza un match all'interno del carcere disperso nel deserto californiano. Film sulla boxe che distilla la quintessenza del cinema action di Hill, carico di figure che fanno uso della violenza fisica e verbale come l'aria che respirano e tutto teso a massimizzare in crescendo lo scontro tra protagonisti fino a far diventare quasi superfluo l'incontro finale.
Hill ha comunque appena fatto armi e bagagli, per lasciare spazio ad Aleksandr Sokurov e in attesa della venuta di Claude Chabrol. Il regista russo ha portato a Torino Il sole, terzo capitolo di una tetralogia che si concluderà con una versione cinematografica del Faust. Intanto tra la coltre nebbiosa della storia, sbuca il viso smunto dell'imperatore Hirohito nella tarda estate del 1945. Dopo Hitler e Lenin, è il turno del nobile che portò il Giappone in guerra, ma che cercò anche di concludere il conflitto senza piegare del tutto la testa agli alleati. Sokurov demanda molto alla forza delle interpretazioni, all'occupazione di spazio da parte degli attori, per definire i confini di una resa che mise fine al secondo conflitto mondiale. Solita dimensione narrativa iperreale, soliti personaggi principali tendenti al mostruoso (tic verbali e fisici compresi), solita anche se decisa difesa della propria libertà espressiva e interpretativa dei fatti storici. Quasi tutto pare combaciare con la versione ufficiale, anche se questo Hirohito lieve, a tratti quasi malinconico, in mezzo a tanti lutti e disgrazie sembra davvero un curioso e stralunato Chaplin/Charlot, come tanti soldati americani fuori dal rifugio imperiale lo appellano. Un film sulla possibilità che ha l'arte di porsi come mezzo espressivo di salvezza in mezzo a tanta banalità visiva e visionaria. Sokurov si conferma regista assolutamente originale, dimostrando un'idea di cinema precisa nei minimi particolari sia del racconto, che nei movimenti di macchina, che nella filosofia di fondo. Peccato che in sala (dal 18 novembre prossimo) verrà distribuita una versione doppiata in italiano.