Quest'anno il Festival di Alba unisce il tema della spiritualità a quello della passione: un binomio che può sembrare contraddittorio

Può sembrare, ma non è tanto vero. Certo, bisogna capire cosa si associa all'idea di spirito, e su questo faremo un dibattito. Di solito, fa pensare subito a qualcosa di incorporeo, di evanescente, di sostanzialmente irrappresentabile. La frase evangelica dice che "lo spirito soffia dove vuole", e il soffio non è catturabile: viene, va, lo senti ma non c'è, non si ferma. La passione è pure un po' così. Rientra anche lei nell'ambito dell'irrappresentabile: si è appassionati senza sapere cosa sia esattamente questa forza che ci spinge. I greci parlavano di entusiasmo, che vuol dire proprio questo: il dio dentro di me. Il dio o il demone, perché poi le passioni possono essere alte o basse. Mi sembra dunque che le idee di spiritualità, di legame e di passione siano un buon nucleo su cui ragionare e mostrare dei film.   Obiettivo del Festival è anche andare oltre i confini sia cinematografici sia culturali. Come può aiutare il cinema in questo?

Nel nostro piccolo cerchiamo di farlo con i film del concorso, andando a scovare in giro per il pianeta delle opere in cui ci siano sia delle tipologie di cinema un po' diverse, sia tanti mondi diversi: volti, persone, storie e modi di metterle in scena differenti. Poi c'è un altro rapporto che vorremmo creare e un altro confine da superare, quello tra i film che si fanno adesso e i film di una volta. È molto difficile far capire ai ragazzi che non c'è differenza tra un film a colori e uno in bianco e nero, tra un film muto e uno parlato. Quel che conta è la passione che c'è dentro. L'idea del festival è di mettere insieme tanti tipo di opere di modo che lo spettatore passi dall'una all'altra confrontandosi con la diversità.   Perché il legame tra cinema e giovani si è così deteriorato?   È andato dissolvendosi perché le forme di narrazione per immagini si sono completamente modificate, così come il rapporto tra lo spettatore e la cosa vista. Ormai si è spettatori davanti allo schermo del computer quando si naviga su internet, quando si guardano la tv, le fiction, i talk show, X-Factor. Così il cinema, nella testa e negli occhi dei ragazzi, è diventato qualcosa di molto più rigido: dura un'ora e mezza o due, mentre oggi i racconti tendono a debordare e ad andare avanti puntate su puntate. Il cinema è qualcosa dove la costruzione della narrazione, del senso, è molto forte, mentre nelle narrazioni televisive il senso si squaglia, se ne va da tutte le parti. Il cinema fa l'effetto se non di sorpassato, di qualcosa un po' a parte, che trae la sua forza e la sua validità solo nell'ambito della sala. Ma è la stessa cosa che succede quando i giovani si trovano davanti a un bellissimo quadro. Anzi, quello è ancora più difficile, perché è fisso, non fa e non dice niente. Al cinema almeno c'è movimento, azione, parola, e lo sentiamo più vicina a noi. La settima arte non va dunque proprio resuscitata, ma noi intendiamo insistere sul fatto che il cinema, come luogo di creazione del senso nel rapporto con lo spettatore, è praticamente perfetto.   Forse questo accade perché oggi il senso tende a essere preconfezionato in modo da essere consumato in maniera veloce e meno critica

Infatti il lavoro coi ragazzi consiste soprattutto nell'inserire una scala di qualità, nel far capire che in film come Una vita difficile o Il giardino delle streghe la produzione del significato, la messa in scena, il racconto sono a livelli nobili. Oggi c'è il pericolo che uno possa crescere e continuare a muoversi a livello molto basso, perché l'offerta generale di racconti per immagini si attesta su standard davvero infimi. Nelle fiction per esempio, il senso è affidato per lo più a dialoghi, mentre invece esistono anche i colori, la luce, la recitazione, i movimenti macchina… Tutte cose che contribuiscono a produrre un senso nobilmente cinematografico.