Chissà che la scena d'amore tra un pesce gatto e una brutta principessa non faccia pendere la Palma verso la Thailandia. In effetti, Tim Burton, il visionario regista di Big Fish, potrebbe farci un pensierino. Parliamo di Uncle Boonmee Who Can Recall His Past Lives di Apichatpong Weerasethakul, già premiato sulla Croisette con Tropical Malady nel 2004. Alla fine, si andrà sul sicuro "impalmando" Another Year di Mike Leigh, ma in un concorso piatto anche di immaginario Weereccetera ha più di qualcosa da dire e mostrare: la sua camera esplora miti animisti e reincarnazioni possibili, infettando di politica antimilitarista – in patria non gliel'hanno mai fatta passare troppo bene… - la giungla della Thailandia nordorientale.
Al netto di digressioni, inserzioni, divagazioni, la storia è quella di un uomo di mezza età dializzato e agli sgoccioli, che viene visitato da due fantasmi: la moglie morta da tempo e il figlio scomparso, che ritorna quale scimmione dagli occhi rossi (dovesse trovare distribuzione in Italia, da solo vale il biglietto!). Non mancano battute cult: "E' mio figlio" - "Sì, ma è una scimmia", "Il paradiso è sopravvalutato", "Muoio perché ho ucciso troppi comunisti", soprattutto non manca la fede nella fusione panica di questo e altri mondi, a partire da quello animale, che tratta disabilità e deformità con il sorriso, la morte con l'ironia bucolica.
Ma nel migliore dei mondi (cinematografici) possibili, Weerasethakul non è solo: a condividere la nostra personale pole-position per la Palma è anche Sergei Loznitsa, documentarista bielorusso cresciuto in Ucraina e già autore del notevole Landscape. A Cannes concorre pure per la Camera d'Or, perché My Joy è il suo primo lungometraggio di finzione: non fidatevi del titolo, la gioia è tutta fuoricampo, ma la scena è per un cinema ambizioso (non pretenzioso), stiloso e che solo in apparenza respinge il pubblico. Se lo spettatore si fa prendere per mano da Loznitsa, questo è quel che si sentirà dire: “Dove porta questa strada?" - "Non è una strada, è una direzione." - "Direzione verso cosa?" - "Verso il nulla". Presiedesse la giuria David Lynch, non avrebbe rivali: il primo girò Fuoco cammina con me!, il discepolo risponde con Tenebra cammina con me!, e ci trascina nella campagna russa - dove a tornare è solo il dolore: sordo, cieco, nonsense - insieme al suo camionista Georgy (Viktor Nemets) per fare conoscenza con la sopraffazione, la crudeltà e la miseria, oggi come nel Dopoguerra. Una via di fuga non c'è: per i suoi personaggi, e anche per noi, la (non) soluzione è il nichilismo, con l'unica strada superstite inghiottita dall'oscurità.
Ma se la storia non distende il sorriso, il morale lo tiene alto la forma, ovvero la grande assente di questo concorso, che si accontenta di fare politica letterale e letteraria, manco fosse la Berlinale. Rispondono a questo appello scomposto due francesi, dati, purtroppo, con un piede in palmares: il Baaria sposato alla causa di liberazione algerina Hors la loi di Rachid Bouchareb e Des hommes et des dieux di Xavier Beauvois, capace di affogare il martirio ecumenico di sette monaci cistercensi, realmente accaduto sempre in Algeria nel ‘96, nella melassa spirituale e nell'affabulazione televisiva.
Se i cugini d'Oltralpe vorranno far sentire la voce di casa, meglio lo facciano con Tournèe di Mathieu Amalric, curiosa, nostalgica e amara escursione tra New Burlesque e vecchio decadentismo già premiata dai critici Fipresci, mentre – un Dio del cinema esiste, forse… – non paiono buone le quotazioni critiche del poco Biutiful e molto ricattatorio film di Alejandro Gonzalez Inarritu, con il bravo e non poliedrico Javier Bardem. Che ha un concorrente, celebrato soprattutto dai francesi, nel protagonista de La nostra vita di Daniele Luchetti, Elio Germano, un “furbetto del cantierino” a cui la Croisette potrebbe regalare la gioia più grande. Speriamo, e a ragione, perché la claque tricolore può contare su Alberto Barbera e Giovanna Mezzogiorno in giuria.
Saranno pure loro a dire se Another Year varrà a Mike Leigh la seconda vittoria dopo Segreti e bugie: non un Leigh eccezionale, ma il suo minimalismo umanista, la sua meditata improvvisazione ne fanno un candidato serio e onorevole. Soprattutto, ribadiamo, in una competizione poco esaltante. In ordine sparso, alcuni titoli che se premiati farebbero gridare allo scandalo, almeno il nostro: Outrage del già regista Takeshi Kitano; Copia conforme del lezioso scribacchino Abbas Kiarostami; Un homme qui crie, ma noi più di lui, di Mahamat-Saleh Haroun. Ci fermiamo qui, con qualche bel film da ricordare, viceversa, fuori concorso: Carlos di Olivier Assayas, frenetico, colto, fascinoso non biopic del primo terrorista-sciacallo globale; Autobiografia di Nicola Ceausescu, che arriverà da noi con Cinecittà Luce; Film Socialisme di Godard, in crociera tra idee e ideologie; O estranho caso de Angelica, che conferma il caso strano, superbo della giovinezza di un 101enne, Manoel de Oliveira.
Comunque vada, è il cinema, bellezza!