"Ho iniziato scrivendo piéce per il teatro, ma era un lavoro troppo concettuale e concentrato sulla parola. Volevo che la creazione fosse anche esperienza fisica. Così ho scelto il cinema". Consapevolezza e argomenti non mancano a Claire Simon. Le due ore di lectio magistralis che la documentarista francese ha tenuto stamattina a Firenze chiudono nel migliore dei modi l'ampia rassegna che il Festival dei Popoli ha dedicato alla sua straordinaria esperienza professionale. Récréations, Coute que coute, Sinon, oui, Mimi, Les bureaux de Dieu: oltre trent'anni di cinema spesi nella fiducia del potere rivelatore del documentario, "capace di trasformare il presente in presenza, le azioni in storia, le persone in personaggi". Il profilo artistico di Claire Simon germina tra la fine degli anni '60 e l'inizio dei '70: "Dopo gli studi - racconta la regista - volevo dedicarmi all'etnologia perché ero affascinata da Lévi-Strauss. Al contempo ho iniziato a lavorare in teatro, scrivendo e recitando. E' stato durante un viaggio in Algeria (la Simon è cresciuta in un quartiere arabo e da sempre si è sentita più algerina che francese, ndr) che ho incontrato Kareche e Boumari della Cinémathéque di Algeri e sono stati loro a introdurmi al mondo del cinema". Nel' 76 gira il suo primo corto Madeleine: allora non pensava di poter fare cinema documentario: "Mi sembrava difficile", ammette. Ma nel 1977 la rivelazione: "Ricorderò sempre il momento in cui ho visto Numéros zéro di Depardon. E' stato uno shock, non pensavo che esistessero film così. Era insieme finzione e documentario. Si vedeva la vita in forma di leggenda. Fantastico". E se la dimensione della donna costituirà il basso continuo tematico del suo lavoro, è nel meticciato dei linguaggi, nell'ibridazione tra reale e immaginario che la Simon troverà la propria cifra stilistica, perché "la finzione non snatura la realtà, ma la rende più potente". Quindi la regista si sofferma sui singoli film, ne racconta gli aneddoti, rivela il suo particolare approccio con gli attori ("non devono provare tra di loro, ma in solitudine), l'amore per il jazz, l'attenzione verso tutti quegli elementi teoricamente estranei al doc (la messa in scena, ad esempio), la concezione socratica del cinema, "capace di far sorgere il reale una seconda volta, e di rivelarlo". E ci lascia, con una battuta sui suoi progetti futuri: "Sono una regista di documentari. Non faccio piani, lascio che sia il reale a farli per me".