Da oggi 18 maggio in sala con Bim, apertura della Semaine de la Critique al Festival di Cannes, è Sicilian Ghost Story, opera seconda di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, dopo il pluripremiato Salvo del 2013.

Con “una Sicilia mai esplorata prima, una Sicilia sognata, un mondo dei fratelli Grimm di foreste e orchi” i due registi portano sullo schermo, filtrando il racconto Un cavaliere bianco di Marco Mancassola (Noi saremo confusi per sempre, Einaudi), la storia di Giuseppe Di Matteo sequestrato per 779 giorni e poi sciolto nell’acido l’11 gennaio 1996 dal capomafia Giovanni Brusca.

 

E la trasfigurano, con questa sinossi: in un piccolo paese siciliano ai margini di un bosco, Giuseppe, un ragazzino di tredici anni, scompare. Luna, una compagna di classe innamorata di lui, non si rassegna alla sua misteriosa sparizione. Si ribella al clima di omertà e complicità che la circonda e pur di ritrovarlo, discende nel mondo oscuro che lo ha inghiottito…

“E’ allora – dice Grassadonia – che si chiude un’epoca di mafia, la si sublima nella sua disumanità e stupidità. Ce ne andammo ora dalla Sicilia, ma quella ferita è rimasta lì: per noi era impensabile raccontarla dritto per dritto, perché non c’è possibilità alcuna di redenzione, soprattutto per il bambino. Abbiamo dunque deciso di far collidere piano realtà con piano fantastico, che riesca donare redenzione alla vittima: una favola nera, confrontarsi con fatti senza tradirli, una dimensione fantastica portata dalla storia d’amore tra Luna (Julia Jedlikowska) e Giuseppe (Gaetano Fernandez), compagni di terza media. Luna non accetta silenzio e miseria, va incontro all’autodistruzione per non tradire amore e umanità, e nella sua collisione noi riusciamo a strappare il bambino dal buio e dalla dimenticanza”.

L’Italia – prosegue Grassadonia – “è un paese di costanti celebrazioni delle vittime di mafia, celebrazioni molto istituzionali. Se ne continua ad abusare anche con le fiction, questo provoca un abbassamento della qualità del racconto, e tutte le storie diventano interscambiabili”.

 

Per Piazza “il film racconta un fatto vero, una storia di mafia, ma attraverso il genere, storia d’amore e favola, ghost story. Il cinema italiano nel passato ha avuto esempi di impegno civile altissimi, Salvatore Giuliano e Le mani sulla città, poi però la dimensione civile e impegnata è diventata ripetitiva, una maniera: non ci dice più nulla, un universo chiuso, creativamente non ci ispira, con il risveglio delle coscienze ha nulla a che fare. Per noi l’uso del genere è un atto politico, vogliamo coinvolgere il pubblico attraverso uno strumento diverso, una storia raccontata così è provocazione”.

Grassadonia ricorda come nessuno dei giovani siciliani, tra 13 e 20 anni, incontrati per il casting conosceva la storia di Giuseppe Di Matteo, e i suoi due interpreti confermano: “Una favola divisa in due, amore e nera”, per Julia; “Sapevo ben poco della storia di Giuseppe, sapevo che era stato vittima degli orchi, ma il mio personaggio non è molto fantasy, si ispira al vero Giuseppe”, per Gaetano.

Sicilian Ghost Story è stato girato nel parco nazionale dei Nebrodi, ed è proprio guardando alla loro terra, la Sicilia, che i due registi concludono, parafrasando Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa: “Ora anche gli sciacalli sono andati via, rimangono i nani, a cui è affidato il futuro delle giovani generazioni”.