Premi a Locarno, Annecy, Villerupt e Grenoble, ora al 29° Torino Film Festival e prossimamente al Tertio Millennio Film Fest. Sette opere di misericordia “piace al pubblico, per ora quello festivaliero: è un film poco italiano, forse piace per questo”, dice Gianluca De Serio, co-regista con il gemello Massimiliano, che raddrizza il tiro: “Piacere non è la parola giusta, e nemmeno intrattenere: il nostro obiettivo è trattenere il pubblico in sala, anche - metaforicamente - dopo titoli di coda, perché il film ha una vita anche dopo che finisce, nelle discussioni, nelle varie letture. Non ci rivolgiamo al pubblico-massa, ma a ogni singolo spettatore, fuori da cliché: la visione è complementare alla creazione, è parte integrante del lavoro artistico”.
Ma di che parla Sette opere di misericordia, che dopo corti, video-arte e documentari segna l'esordio alla finzione dei due registi torinesi, classe '78? Protagonista è Luminiţa (la romena Olimpia Melinte), una giovane migrante clandestina che vive in una baraccopoli periferica: ha un piano di fuga dalla miseria, e per portarlo a termine incappa in Antonio (Roberto Herlitzka), un anziano malato. Un incontro-scontro, con ricadute inattese: “Nella società di Facebook I like, don't like, l'importante è il film venga condiviso”, dice Massimiliano, mentre Gianluca precisa: “Non siamo religiosi, né battezzati, così siamo sempre alla ricerca, non già arrivati. Questo non è un film religioso, ma di ricerca spirituale. Del resto, il mestiere del cinema è vicino a qualcosa di sacro, condivide l'ispirazione a parlare dell'invisibile, al di là della realtà filmata”.
Le sette opere di misericordia sono “riportate in ottica prettamente umana, per guadagnare l'essenza del concetto di misericordia: la pietas romana, prendersi cura del corpo dell'altro”. Ovviamente, c'è l'ispirazione caravaggesca: “Sono rimasto colpito nel dipinto - dice Massimiliano - dalla compresenza del ritratto realistico della società dell'epoca, con i bassifondi di Napoli, e di una forte carica allegorica e spirituale, con una luce materica e divina allo stesso tempo”.
Fondamentale, nella restituzione di questo binomio, il ruolo degli attori: “Olimpia ha un'armonia rinascimentale, Herlitzka volto e corpo da paesaggio fiammingo: la storia dell'arte è in loro”. “Luminita è ancora nella mia mente, non se ne va”, ribatte la Melinte, mentre Herlitzka, che questa sera riceve da Marco Bellocchio il Premio Adriana Prolo alla carriera dell'Associazione Museo Nazionale del Cinema, condivide con la collega la difficoltà a comunicare verbalmente (lingue diverse), ma sottolinea come questo “ci ha aiutato sullo schermo, nel cercare di capirsi oltre parole”. E, se “Bellocchio è in cima” ai registi con cui ha lavorato, con i gemelli De Serio ha “lavorato benissimo: sono giovani e, senza fare populismo, i giovani hanno una gran voglia di fare. Addirittura, di fare dell'arte, come me, e ci siamo trovati d'accordo”.
Se il produttore Alessandro Borrelli si dice, sulla scorta dei premi ricevuti dalle giurie di giovani in tutta Europa, “fiducioso per la risposta del pubblico in sala”, l'appuntamento che conta è a gennaio, quando Sette opere di misericordia verrà distribuito da Cinecittà Luce. Per ora, le ultime parole dei De Serio sul tema dell'immigrazione: “L'immigrato clandestino è qui metafora della perdita dell'identità nella società contemporanea. Ci si stupisce di trovare gli immigrati sullo schermo, ma sul tram la mattina chi incontriamo? Sono i nuovi italiani”, dice Massimiliano, mentre Gianluca osserva come “l'immigrato buono sia uno dei cliché del nostro cinema, e noi non lo seguiamo. Il nostro non è un discorso cronachistico, sociologico, ma l'immigrazione, l'illegalità sono metafore della condizione umana”.