Stavolta la dialettica servo/padrone non vale. Il padrone resta tale fino in fondo, e alla serva non resta altro che il piatto freddo (ma sarà "rovente" di fatto) della vendetta: "Che avrà ripercussioni sulla figlia dell'uomo: forse questa bambina crescendo non sarà un'altra vittima del padre. Lo vedrete presto, perché è lei la protagonista del mio prossimo film": parola di Im Sang-Soo, regista sudcoreano salito alla ribalta internazionale grazie a La moglie dell'avvocato (2003) e ora tornato a far parlare di sè, in Europa, con The Housemaid, presentato in Concorso a Cannes 2010 e dal 29 aprile in 70 sale distribuito da Fandango (ma domani sarà possibile vederlo in anteprima nazionale al Korea Film Festival di Firenze). Remake di un celebre film di Kim Ki-young degli anni '60 ("Ma è una vera e propria rielaborazione - sottolinea Sang-Soo - un'operazione simile a quella fatta da Scorsese con Cape Fear"), The Housemaid descrive la perversa correlazione tra sesso, classi sociali, degrado e potere in Corea, raccontando la via crucis di Eun-yi (Jeon Do-youn), nuova governante nella casa della giovane Hae-ra (Seo Woo), madre di una bambina e in attesa di due gemelli, sposata con il ricco Hoon (Lee Jung-jae), il padrone. Che proprio con Eun-yi instaura una relazione pericolosa dalle conseguenze nefaste: la ragazza resterà incinta innescando la tremenda reazione da parte delle donne della casa (la governante più anziana, la madre della moglie e la moglie stessa). Prima proveranno a convincerla ad abortire con le buone (offrendo un lauto risarcimento) e poi, dietro il rifiuto della giovane donna, le provocheranno un aborto. Ma l'ultima atto della tragedia lo scriverà Eun-yi...
"Questo film ha fatto molto arrabbiare la destra nel mio paese - ha detto il regista - perché punta il dito contro l'alta borghesia che detiene il potere anche a scapito del governo legittimamente eletto. Non siamo più ai tempi del regime militare, certo, ma alcune cose sono anche peggio di allora: la divaricazione tra ricchi e poveri si è allargata e la mia generazione, che aveva favorito la rivoluzione contro i militari, oggi passa il tempo a giocare a golf e a spendere i suoi soldi". Ma il problema non è solo coreano: "Il film tratta un tema universale: quello dell'umiliazione che i potenti della terra infliggono ogni giorno ai più deboli. Da questo punto di vista l'11 settembre ha cambiato un po' le carte in tavola perché ha fatto capire anche agli occidentali cosa vuol dire essere vittime". "Solo comprendendo le ragioni del terrorismo - conclude Sang-Soo - sapremo anche fronteggiarlo. E dove rintracciare i semi di questa rabbia se non nelle politiche di sfruttamento che americani ed europei hanno perpetrato nelle zone più arretrate del mondo?".